Ciao 2015: l’attrazione fatale Blatter-Platini
Se il 2015, nello scacchiere calcistico planetario, ha registrato un cambiamento a dir poco tellurico, questo pertiene senz’altro agli equilibri della grande politica pallonara, negli ultimi mesi giunta a una situazione di complessa leggibilità. Sepp Blatter e Michel Platini, ex sodali divenuti nemici acerrimi, risultano al momento estromessi dalla corsa per la presidenza FIFA, entrambi coinvolti in un caso ben intricato e dai contorni non alieni dal ridicule.
Il 27 maggio scorso presso un importante hotel di Zurigo (Baur Au Lac), una maxi inchiesta internazionale (coordinata dal Dipartimento di Giustizia degli USA, particolare non indifferente) arresta alcune figure importanti legate alla gestione del football, tra cui sette massimi dirigenti FIFA: si tratta di Jeffrey Webb (il “pesce” più grosso: vicepresidente esecutivo, presidente della Federcalcio Isole Cayman e presidente della CONCACAF), Eugenio Figueredo, Eduardo Li, Julio Rocha, Rafael Esquivel, Josè Maria Marin, Costas Takkas. È un’autentica spallata al sistema di potere blatteriano: gli arrestati sono tutti grandi elettori dello svizzero che, il 2 giugno, annuncia le proprie dimissioni, (per poi ritrattare in punta di forchetta…), mantenendo però la presidenza ad interim sino a fine anno. Gli inquirenti contestano agli imputati gravi irregolarità nell’assegnazione dei mondiali di calcio del 2018 (alla Russia di Putin, e non agli USA: le indagini prendono il via negli Stati Uniti) e del 2022 (al Qatar, scelta assai discussa anche per questioni logistiche), scatenando una prevedibile ondata di reazioni sdegnate, tra cui quella di Michel Platini, presidente UEFA e principale avversario dell’ex amico Sepp.
Non poteva immaginare, le Roi Michel, che la vecchia volpe elvetica potesse riservargli presto un gran bel “trappolone”: infatti, annunciata la propria candidatura per la presidenza (la tempistica non è casuale), all’ex 10 di Francia e Juventus viene contestato un pagamento irregolare (2 milioni di euro) ricevuto dalla FIFA, ossia Blatter stesso, nel 2011 per una serie di consulenze di fine anni Novanta. Conseguenza: i due concorrenti principali stretti in un abbraccio mortale e messi sotto accusa dalla FIFA stessa. Ridicolo nel ridicolo: il comitato etico che indaga contro i due è diretta emanazione blatteriana; il passaggio di soldi incriminato sarebbe avvenuto a oltre dieci anni dalla prestazione fornita (i 180 giorni italiani, al confronto, sono lampi); la sospensione dei due dalla campagna elettorale (comminata l’8 ottobre, con la presidenza ad interim affidata al camerunense Issa Hayatou) risulta a dir poco strumentale; infine, la ben più severa (otto anni) squalifica da ogni attività FIFA sembra una misura tanto dura quanto soggetta a probabili colpi di scena.
Ancora molti, troppi, i lati oscuri: Platini afferma di aver regolarmente registrato il pagamento ricevuto (da quando si fatturano le tangenti?) e non si è voluto difendere a Zurigo ritenendo (come dargli torto?) che la sentenza fosse già scritta. Il francese confida, invece, nel TAS di Losanna e, in seconda istanza, nella giustizia ordinaria: di certo, la sua immagine ne esce ridimensionata e, da ex calciatore alla scalata della politica del pallone (cosa che pare invisa, invece, a un certo tipo di dirigenza “vecchio stampo”), l’opinione pubblica internazionale sembra aver derubricato l’attuale presidente UEFA a uno dei tanti politici imbolsiti e corrotti dal sistema.
Non solo: la FIFA dovrebbe eleggere il nuovo presidente il 26 febbraio e, al momento, il candidato forte è Ali Al Hussein (gli altri: Sheikh Salman Bin Ebrahim Al Khalifa, Jerome Champagne, Gianni Infantino e Tokyo Sexwale), figlio di Re Hussein di Giordania, vicepresidente FIFA e paradossale concorrente di Blatter lo scorso maggio: raccolti 73 voti al primo turno, si ritira a sorpresa, lasciando campo libero allo svizzero, dando adito a voci su un accordo con l’avversario. Gli si oppone Infantino: lo svizzero parrebbe costituire la momentanea speranza sia di Platini sia, in generale, del calcio europeo, al centro di una situazione peculiare: benché sia tuttora il motore primo della “macchina calcio” (con i tornei più importanti, le squadre più ricche, la capacità di attrarre tutti i campioni del momento), il Vecchio Continente non è in grado di tradurre tutto ciò in proporzionale peso politico, neutralizzato dalle abilissime relazioni intessute (in modi mai limpidi) da Blatter negli anni e dal fatto che, in sede FIFA, a ogni federazione nazionale corrisponde un voto. Come a dire: Germania, Spagna e Inghilterra contano quanto Singapore, Egitto e Honduras. Curiosa la cauta posizione della FGCI italiana: l’asse Tavecchio-Lotito non si è espresso a favore di nessuno, pilatescamente in attesa di ulteriori sviluppi.
Tanta, troppa confusione sotto il sole, che rischia d’essere quello cocente di Qatar 2022, per un mondiale che costringerà a riscrivere gran parte delle stagioni (il che, però, potrebbe quasi essere un aspetto positivo). Di certo, coloro che si auguravano il tramonto di Blatter non avrebbero potuto immaginare una successione così carica di tensioni. A partire dal buon vecchio Michel che, opinione scevra da ogni condizionamento di tifo calcistico, reputiamo una delle poche persone più spendibili e credibili per una carica tanto importante come la guida della FIFA. Domanda: a chi dà fastidio l’idea di un calcio gestito dai calciatori?
Gli scenari aperti e futuribili sono molti: da una, attualmente improbabile (ma non improponibile), ricomposizione gattopardesca a una scissione, con lo strappo della “ricca” UEFA ormai stanca di pagare gli accordi di consorelle costantemente a rischio corruzione. Nel mezzo, infinite sfumature.
E il calcio? Bella domanda davvero. Ma, non lo diciamo da adesso, illudersi che parlare di pallone ci salvi dal doverci occupare di denaro, politica e, dunque, potere è davvero una pia illusione.