Ciao 2015: un quadro clinico del calcio italiano

Sullo stato di salute del calcio italiano s’è letto e si continua a leggere di tutto: le opinioni vanno dal disfattismo più pessimista al possibilismo cautamente positivo, passando per una miriade di posizioni intermedie che, più che dare lumi, paiono solo confondere ulteriormente le menti di chi cerca di capire come diamine stia il mondo del pallone tricolore, più o meno unanimemente definito “malato”.

Sullo stato di salute del calcio italiano s’è letto e si continua a leggere di tutto: le opinioni vanno dal disfattismo più pessimista al possibilismo cautamente positivo, passando per una miriade di posizioni intermedie che, più che dare lumi, paiono solo confondere ulteriormente le menti di chi cerca di capire come diamine stia il mondo del pallone tricolore, più o meno unanimemente definito “malato”.

Andando a confrontarsi coi fatti di campo nudi e crudi, tuttavia, qualche segnale di ripresa si trova, sia interpretando i “segni” verificatisi all’interno dei nostri confini, sia analizzando il cursus di cui si sono resi protagonisti i club italici oltreconfine.

In Serie A, per la prima volta dopo tempo immemore, chi ha chiuso l’anno solare da prima in classifica non è la Juventus ma l’Inter; non solo, in mezzo tra il Biscione e la Vecchia Signora ci sono ben altre due squadre (Napoli e Fiorentina) sicché i bianconeri sono virtualmente fuori dal podio. Ora, è chiaro che dicembre non è maggio e che non è affatto detto che la compagine campione d’Italia non possa risollevarsi del tutto – de resto ha chiuso il suo 2015 con un filotto di vittorie consecutive francamente impressionante – però questa nuova bagarre in cima alla classifica è senz’altro una novità rispettabile se la confrontiamo con quanto successo nei quattro campionati precedenti a questo.

C’è chi obietta che può essere un segno di livellamento verso il basso perché l’attuale ritmo tenuto dalle battistrada è al di sotto del par imposto dalla Juventus ma paragonare stagioni diverse tra loro, considerando tutti i cambi di organico, le modifiche tattiche e i mutamenti d’umore in ogni piazza della Lega, inizia a diventare un esercizio piuttosto complesso quando si deve arrivare a giudizi generali. Si può infatti dire tranquillamente che una lotta tra due avversarie nettamente più forti delle altre o una cavalcata solitaria di dimensioni mostruose diano un riscontro da strapparsi i capelli per quanto riguarda le statistiche di una o due compagini, appunto, ma certamente presuppongono anche un mismatch innegabile con tutte le altre diciotto (quando non diciannove) contendenti, in grado di giocarsela fino in fondo, quando va bene, sempre e solo negli scontri diretti e mai sul lungo periodo.

Quel che davvero è interessante, comunque, è che siamo finalmente liberi da una lotta a due o, addirittura, di una sfida solitaria della Juve contro i suoi stessi limiti così com’è accaduto nel secondo anno di Conte e nella stagione passata: la vittoria dello scudetto attualmente in palio a una squadra diversa da Madama potrebbe ridefinire sensibilmente la carta geografica delle potenze di Serie A e consegnarci un nuovo club, qualunque esso sia, in grado di lottare ancora e ancora per il vertice, perlomeno a breve termine, tracciando così una via che potrebbe essere seguita anche da altre formazioni che studiano da vincenti e che potrebbero dare il conseguente esame nei prossimi anni.

Del resto dei segnali di rinnovata competitività quasi globale della Serie A sono giunti anche da piazze minori, laddove vivono le cosiddette provinciali: Empoli e Sassuolo, per quanto naturalmente costruite (e destinate) a un torneo che come prima meta abbia la salvezza, rappresentano tuttavia degli esempi evidenti di come il tanto abusato concetto di “progetto” possa ancora rivelarsi, se non valido, quanto meno sufficiente per avere risultati più che dignitosi, specialmente nel caso dei neroverdi. Non è un mistero infatti che Squinzi desideri alzare ancora l’asticella e provare a lottare per un posto in Europa League: al netto del fatto che ci riesca o meno, è già più che meritorio per la stessa società emiliana che l’obiettivo sia così ambizioso ed è soprattutto per questo motivo che ci sentiamo di pensare che sia proprio dalle parti del Mapei Stadium che ci siano i segnali più interessanti di un certo “risveglio della Forza” in Serie A, col Sassuolo probabilmente destinato a diventare una concorrente abituale per un posto tra le prime otto.

Non va inoltre dimenticato che, anche se siamo lontani da quel che accadeva nemmeno quindici anni fa, quando potevamo permetterci non solo quattro squadre in Champions League ma, di norma, anche, tra queste, almeno un paio di candidate alla vittoria finale della competizione, senz’altro sono stati fatti dei passi avanti non da poco per quello che riguarda la mentalità con cui approcciare soprattutto l’Europa League. Da competizione fastidiosa e poco redditizia che sembrava essere più che altro una noia per i club, la sorella minore della Champions è tornata a occupare più spazio nelle menti di dirigenti e allenatori, più desiderosi di cimentarsi nell’ambito europeo anche se non sul palcoscenico principale.

Anche qui la via da seguire per l’inversione di tendenza è stata probabilmente tracciata dalla Juventus che, raggiungendo la semifinale di UEL quasi due anni fa, ha in qualche modo dimostrato che – nonostante gli impegni in campionato e nonostante la delusione per l’esclusione prematura dalla Champions – ce la si potesse fare senza troppe ripercussioni sul rendimento in Serie A. A quel lampo nel buio, la stagione passata, è seguito l’ottimo cammino bianconero verso una finale di UCL a cui nemmeno il più ottimista dei tifosi avrebbe potuto credere nel momento in cui Massimiliano Allegri si sedeva sulla panchina lasciata ancora calda da Conte. Ma non solo: anche la qualificazione alle semifinali di Europa League di Napoli e Fiorentina (parzialmente sciupate, purtroppo) ha rappresentato una lieta novità rispetto alle annate precedenti  e questa era comunque seguita a un indimenticato passaggio del turno di massa dei sedicesimi da parte delle compagini tricolori, capaci di presentarsi in cinque ai sorteggi per gli ottavi.

Tra queste è impossibile non citare il Torino, sconfitto ma non piegato dal ben più temibile Zenit San Pietroburgo, forte – oltre che di un’indiscutibile maggior caratura tecnica – di quell’esperienza alle sfide europee da dentro o fuori che ai granata necessariamente mancava. Ciò nonostante, il Toro ha dimostrato di voler vivere pienamente la competizione, assestando una spallata quasi decisiva alla triste consuetudine secondo la quale una “piccola” che arrivi in Europa più o meno inaspettatamente cerchi di chiudere la propria esperienza continentale il più rapidamente possibile per non rimetterci in campionato. Di fatto è stata proprio la squadra di Ventura, nonostante sia stata fermata due turni prima di viola e Azzurri, a onorare al meglio la competizione tra tutte le nostre rappresentanti.

Non a caso, è proprio da questo tipo di realtà più marginali (perlomeno rispetto ai classici centri di potere e tradizione che abitano il nostro massimo torneo calcistico nazionale) che stanno partendo le carriere di alcuni giovani calciatori che, per adesso, paiono essere dei possibili candidati futuri per la maglia azzurra che – onestamente – sta vivendo un momento più difficile rispetto alla Serie A (sempre considerandola nella sua globalità).

Tuttavia, anche a questo proposito, possiamo provare a guardare a un bicchiere, se non mezzo pieno, senz’altro meno vuoto di quel si pensa: Conte ha portato a casa la qualificazione agli Europei vincendo un girone non difficile ma nemmeno banale, in cui ci si sarebbe potuti anche impantanare da soli. Il sorteggio per Euro 2016 non è poi andato malissimo (come spiega piuttosto bene questo pezzo di Sciabolata Morbida) e, quest’estate, potremo giocarcela Oltralpe almeno fino ai quarti di finale grazie soprattutto al lavoro del tecnico salentino che, pur non raccogliendone l’eredità tecnica, ha lavorato sulla costruzione di un comun denominatore sempre valido come Prandelli: se per il mister di Orzinuovi questo era costituito da un’identità di gioco riconoscibile a prescindere dagli interpreti, obiettivo raggiunto a tratti, per Conte è invece il senso del gruppo, una coesione collettiva che vuole che i suoi coltivino e costruiscano sulla falsariga di quanto fatto alla Juventus nel suo primo anno da allenatore bianconero.

Ora, va da sé che la nostra attuale Nazionale non disponga di tutto quel talento che siamo stati abituati a vedere in tutto il resto della storia della selezione azzurra ma è un fatto inoppugnabile che l’attuale CT non ha ancora perso nemmeno una partita in cui ci fossero davvero in palio i tre punti e che gli unici ko (due nelle dieci sfide disputate lungo l’arco di quest’anno solare) sono arrivati in amichevole – peraltro i primi in assoluto della sua gestione. Inoltre, sebbene l’Italia abbia brillato poco a livello di gioco corale fin qui, è anche vero che la compattezza e la cattiveria non sono quasi mai mancate così come Conte non si è mai risparmiato nella continua ricerca dell’assetto migliore possibile per esprimere il calcio che vorrebbe: mancano ancora sei mesi circa agli europei, ci sono sempre degli spazi di miglioramento. Inoltre non è detto che, attraverso il campionato, si impongano dei giocatori che possano poi tornare utilissimi alla causa azzurra (un nome su tutti: Insigne).

Limitandoci così ai meri fatti di campo (il tempo per delle disamine sui problemi che affliggono il calcio italiano inteso come sistema arriveranno, non temete) il quadro clinico del nostro illustre paziente s’è fatto più chiaro e, onestamente, non pare poi così negativo anche se, allargando l’analisi a un periodo più ampio, si può certamente confermare la diagnosi di una malattia che l’ha debilitato, portandolo a essere meno autorevole di un tempo (ma del resto, si sapeva già).

Quel che noi vogliamo sperare con tutto il cuore è che i segnali di schiarita che ci ha portato questo 2015, ormai in procinto di salutarci, non siano dei fuochi fatui bensì i primi lumi di un rinnovamento fisiologico e necessario che ci possa ricondurre un giorno sulla via della grandezza che abbiamo percorso in lungo e in largo fino a poco tempo fa e che, a suo tempo, non abbiamo saputo valorizzare come avremmo potuto.

Tutto quel che abbiamo in mano per ora sono dei germogli: sta a noi farli crescere bene.

Leggi anche gli altri editoriali del ciclo Ciao 2015:
– Ciao 2015: motori in chiaroscuro
– Ciao 2015: l’anno del rugby mondiale

Published by
Giorgio Crico