Ciao 2015: l’anno del rugby mondiale

Volge al termine il 2015, l’ennesimo anno di emozioni per gli appassionati di rugby. Non un anno qualunque, se è vero che la Rugby World Cup è ormai considerata la competizione più importante del mondo. In grado, come priorità, di superare Sei Nazioni e Championship e di essere, soprattutto, obiettivo della programmazione pluriennale degli staff delle principali squadre.

Non che vada sempre bene, in realtà: guardate l’Inghilterra, con sempre in bocca la crescita progressiva, il progetto tecnico, il guardare avanti, la biggest picture: tanti secondi posti continentali (e Sei Nazioni sacrificati) per trovarsi con in mano un pugno di mosche, eliminata dal suo stesso mondiale. Non parliamo dell’Italia, poi: mandiamo in archivio un altro mondiale né carne né pesce. Siamo troppo deboli per l’élite ma troppo forti per chi viene sotto. E non serve a nulla programmare, specie se a ogni passo avanti ne corrispondono due indietro.

Per gli inglesi, un torneo organizzato in casa, giocato per vincere: la surreale e inutile esibizione contro l’Uruguay a Manchester è la fotografia dell’anno più brutto della storia della Red Rose, almeno nell’epoca del professionismo.

26Giocare l’ultima gara (senza senso, perso già il treno per i quarti) nella roccaforte del rugby league, stesso giorno e stessa città di Wigan-Leeds: il peggiore degli incubi per la dirigenza inglese, la più divertente delle beffe per le rivali Galles e Australia, avanti grazie ai due successi di Twickenham contro chi si era autoproclamato favorito per il titolo.

Il mondiale l’ha, naturalmente, vinto la Nuova Zelanda. Scrivo naturalmente perché a gente come Dan Carter e Richie McCow viene naturale vincere tutto, e perché gli All Blacks dal titolo iridato conquistato in casa nel 2011 hanno perso pochissime partite. Una sola volta contro avversari dell’Emisfero Nord (l’Inghilterra nel 2013), raramente con Wallabies e Springboks, regolarmente sconfitti nell’ex Tre Nazioni, diventato Championship per l’aggiunta dell’Argentina.

E proprio l’ingresso nell’olimpo dell’Emisfero Sud (ora anche a livello di club) dei Pumas, prima a prender bastonate poi a maturare e crescere come squadra e individui, rappresenta la grande novità della Rugby World Cup 2015: semifinali proibite alle europee, domande sempre più pressanti sul livello di Sei Nazioni e Champions Cup. Tornei godibilissimi, ma evidentemente lontani dal gioco di All Blacks, Springboks, Pumas, Wallabies e Rugby Championship: salutiamo il 2015 mondiale, il 2015 neozelandese. L’ennesimo.

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Published by
Matteo Portoghese