Ormai è partito e non ci si può fare più niente. Come ogni trend di Twitter (e dei social network in generale), il ritornello ripetuto ossessivamente secondo cui “bisogna chiedere scusa a Giampaolo” è partito un po’ come una presa in giro dopo il pareggio che l’Empoli ha inflitto al Napoli alla terza giornata, s’è ripetuto fedelmente a ogni vittoria dei toscani come un tormentone da comicità televisiva e, un paio di settimane fa, quando ci si è resi conto che il tecnico abruzzese stava compiendo un piccolo miracolo sulla panchina che è stata lungamente di Sarri, il mantra – nato come ironico – è diventato di colpo serissimo.
Del resto, al di là della pantomima delle scuse, è verissimo che tanti – se non quasi tutti – hanno dubitato delle possibilità di salvezza dell’Empoli quando, quest’estate, la società azzurra ha chiamato in panchina l’ex allenatore della Cremonese. Di conseguenza, chiunque abbia pensato “Ma dove vogliono andare con questi qui e senza Sarri?” leggendo i nomi della rosa con cui gli Azzurri si stavano apprestando ad aggredire la nuova stagione di Serie A è in debito con Giampaolo almeno quanto lo è stato con Sarri mentre i suoi ragazzi diventavano la rivelazione dell’anno appena la stagione scorsa. Lo stesso mister empolese, prima di essere chiamato al Castellani, era stato tendenzialmente dimenticato da tutti nel mondo del calcio di alto livello ed era tornato alla ribalta delle cronache un paio d’anni fa quando, mentre era alla guida del Brescia, sembrò prima scomparire nel nulla senza dire niente a nessuno per poi ricomparire e dire che stava bene e, infine, decidere di lasciare l’impiego perché non gli andava a genio il «calcio selvaggio» moderno, in cui le società cambiano gli obiettivi stagionali in corso d’opera.
Sebbene questa vicenda sia stata subito liquidata non appena risoltasi venendo anche buttata sul ridere dai media, dagli appassionati di pallone e dai soliti, immancabili, social, è in realtà molto indicativa della mentalità del mister nativo di Bellinzona, resosi protagonista di una scelta molto forte, quasi d’altri tempi. Il ritratto di Giampaolo che la storia bresciana ci restituisce è quello di un uomo diretto, a cui non piace menare il can per l’aia e che, quando parla con una società che decide di assumerlo, vuole sapere subito di che morte deve morire. Non lo spaventano le sfide o le condanne al fallimento preventive bensì la doppiezza, le mezze verità, i contorni sfumati tipici della vaghezza. In questo senso, osservando entrambi da lontano, il suo profilo non sembra troppo dissimile da quello di Sarri e, dunque, inizia forse a capirsi perché l’allenatore abruzzese si sia “abbinato” bene con il progetto Empoli.
Ma non è tutto: nell’atmosfera che si respira attorno al Castellani non c’è solo quella schiettezza sugli intenti così poco frequentata nel mondo del calcio di oggi (e su questo Giampaolo ha enormemente ragione) ma anche un modo molto sano di vivere la passione per il pallone. A Empoli è così che va: la città vuol bene alla squadra e non si aspetta niente di particolare, se non una strenua lotta a difesa dei colori ogni benedetta domenica. Un clima positivo tale che spesso ha saputo fungere da humus perfetto per la crescita dei giovani calciatori (di gente affermatasi a Empoli ce n’è tantissima, per ora limitiamoci a ricordare solo Giovinco, Di Natale, Marchisio e i recenti Hysaj e Valdifiori) ma anche rimanere impresso nella testa dei giocatori persino dopo aver lasciato la Toscana: pensiamo allo stesso Maccarone o a Ciccio Tavano, gente che ha deciso di tornare al Castellani per vivere una bella anzianità sportiva divertendosi.
Già, il divertimento. Un concetto che pare essere stato completamente dimenticato da un’ampia maggioranza dei giocatori di Serie A quando non coincide con la parola “vittoria”. Eppure, per quanto semplice possa sembrare (anche se non lo è) è proprio il divertimento la chiave di lettura con cui si può leggere la storia calcistica recente dell’Empoli: dall’incarnazione spallettiana alla versione ultra-offensiva di Baldini per giungere infine a Sarri che, subito dopo aver affrontato il Milan a San Siro, contesterà all’avversaria di giornata proprio la sua incapacità di divertirsi, indicandola come motivazione principale di uno scarso rendimento.
Il matrimonio tra Giampaolo e l’Empoli, dunque, sta funzionando così bene perché sia al mister che alla squadra quel che importa è divertirsi, punto e basta. Senz’altro il tecnico abruzzese deve ringraziare parecchio Maurizio Sarri, che ha rinverdito i fasti della società toscana reintroducendo e attualizzando tatticamente la sua connaturata voglia di giocare per il gioco stesso, ma ci ha anche messo tantissimo del suo. Tanto per cominciare, Giampaolo s’è ritrovato con un gruppo senz’altro forte di un anno di esperienza in massima serie e con un Saponara (un altro che a Empoli è tornato, per la cronaca) a disposizione fin dall’estate ma, al contempo, pure senza Sepe, senza Valdifiori e Hysaj, senza Vecino, senza Rugani (forse la mancanza più difficile a cui far capo). In tutto ciò, l’attuale mister empolese è persino riuscito a migliorare quanto fatto dal suo predecessore fino a questo punto della stagione. E non di un paio di punti ma di nove.
Del resto è un fatto che, nelle ultime nove partite l’Empoli è sempre andato a punti (a eccezione della gara persa contro la Juventus), raccogliendone qualcosa come venti. Tanto per fare un rapido confronto, nello stesso numero di partite la stessa Juve ne ha fatti ventidue, l’Inter pure, la Fiorentina quattordici e il Napoli venti. Come si nota, negli ultimi due mesi gli Azzurri sono andati a una velocità di crociera più consona per una pretendente allo scudetto che non alla salvezza. Ora il bottino parla di 27 punti racimolati fin qui e di un sesto posto provvisorio che non può che far piacere ai tifosi i quali, tuttavia, restano perfettamente consapevoli che – prima di potersi abbandonare del tutto alla gioia di veder giocare la squadra – ne mancano ancora tredici.
Noi non sappiamo se Giampaolo riuscirà a confermarsi così meglio di Sarri anche a fine campionato ma, di certo, questa sua prima tranche di battaglia (di retrovia?) contro il calcio bulimico, accelerato e, in effetti, selvaggio tipico dei nostri tempi fa la sta vincendo lui – peraltro, sul palcoscenico più importante.
Non male per un transfuga…