Ok, la Roma è la controfigura di se stessa; ok, i giallorossi hanno un problema enorme, che si chiama Rudi Garcia; l’impresa dello Spezia, però, è stata comunque ingente; esemplari i liguri, cinici al massimo: si presentano allo Stadio Olimpico, fanno il loro lavoro con intelligenza e cattiveria sportiva (approfittando delle enormi difficoltà degli avversari), e strappano la qualificazione ai quarti di finale, dove affronteranno un’altra squadra che, già, ha fatto l’impresa: l’Alessandria.
Spezia e Alessandria, dunque, provano a seguire la strada tracciata dal Vicenza di Guidolin alla fine degli anni ’90, se non addirittura a fare meglio. Perché stavolta si tratta di formazioni che non militano nella massima serie italiana, si tratta di compagini che pensavano di dover tenere in considerazione il fatto di dire addio alla competizione, scendendo rispettivamente sui terreni di gioco dello Stadio Olimpico e di Marassi.
Invece, no. Invece, capita che prima l’Alessandria espugna il Ferraris, dopo aver espugnato il Renzo Barbera nel turno precedente (giù il cappello); poi, lo Spezia approfitta della situazione drammatica dei giallorossi per resistere – neanche troppo a fatica – sullo zero a zero per 120 minuti di gioco, e fare il colpaccio ai calci di rigore in casa di Roma per cui proprio i rigori si sono rivelati la cartina tornasole dell’attuale crisi esistenziale. L’errore di Pjanić, eloquente: se uno come lui sbaglia un rigore in quel modo (un tiraccio centrale, né alto né basso, insignificante) vuol dire che è nella testa che manca qualcosa. E se c’è un problema di testa, la cosa è grave.
Ai quarti di finale, dunque, Spezia e Alessandria. Che si affronteranno, purtroppo: vorrà dire che una delle due sicuramente uscirà dalla Coppa Italia. Un peccato, dato che entrambe suscitano tanta simpatia in questa competizione, ma forse meglio così: finalmente, vedremo una partita con uno stadio pieno d’entusiasmo. Per tutti i novanta minuti.