Il dono di Donadoni

Il cambio annunciato, e il cambio in corsa. Nel primo caso, hai avuto il tempo per fare le tue scelte, per trattare, per offrire e contro-offrire, per rifiutare e per ricominciare. Fino alla firma, e poi all’annuncio differito nel tempo. Di solito, è così che si cambia guida tecnica: programmandolo con qualche mese di anticipo.

Quando si fa un cambio in corsa, però, la situazione è differente: trattativa-lampo, e le uniche offerte che puoi fare corrispondono circa alla frase «a gennaio ti compro qualcuno». Chi arriva, prende in mano la squadra a scatola già chiusa, accettando anche lo scomodo confronto con chi l’ha preceduto (citofonare Sannino).

Una quarantina di giorni fa avevamo parlato dell’esonero di Delio Rossi: una mossa inutile, perché nata da un errore estivo – quello di insistere su un allenatore che aveva portato a casa la promozione, ma non aveva incantato. Un rapporto proseguito per inerzia, senza convinzione.

Si poteva far di meglio, si doveva fare diversamente. E fin qui, diversamente e meglio ha fatto Donadoni: dieci punti in cinque partite (tre vittorie e un pareggio, sconfitto solo a Torino). E soprattutto il rilancio di Mattia Destro: dopo avere fatto virgola nei primi dieci incontri, l’attaccante di scuola interista durante la gestione Donadoni ha messi a segno quattro gol (media: 0,8 a partita, mica male). Soprattutto, è apparso rigenerato, rinverdito: contro il Napoli, capace non solo di segnare una doppietta, ma anche di andare a riprendersi la palla in fase di non possesso.

Il progetto-Rossi non c’era, si è detto. Ecco: un allenatore che subentra dev’essere capace di crearsi il progetto, a partire dal materiale (umano e sportivo) che trova. In questo, Donadoni è uno specialista: in carriera, è subentrato a Livorno (2005), poi a Napoli (2009, ma andò male), Cagliari (2010) e Parma (2012). Sempre col suo stile pacato, ma non per questo privo di forza (nel disastro dell’ultimo Parma, anzitutto morale).

Ottimo tecnico quando si deve fare di necessità virtù, spesso capace di capitalizzare ciò che non era stato pensato per lui. A rigore, a Bologna non è stato neanche la prima scelta: Saputo aveva cercato (invano) Montella. E ci sta di notarlo: Sannino (già esonerato), Ballardini (un punto in tre partite) e proprio Montella (tre sconfitte su tre) fin qui non sono stati capaci di rovesciare le fortune di chi li ha ingaggiati.

Quaranta giorni fa, avevamo chiuso con un augurio al neo-tecnico del Bologna: «Un sincero in bocca al lupo, e che la fiducia sia con lui». Per cui giorni fa mi è venuto da sorridere, quando l’ho sentito dire, a Radio anch’io sport, che «Il valore aggiunto è credere in se stessi». Aggiungo: senza crederci troppo (l’errore che ha fatto il Napoli di Sarri, domenica scorsa), per non commettere errori di immaturità. E magari affidandosi anche a giocatori giovani (Masina, Oikonomou, Diawara, quel Taïder che fino a poco fa stava a scaldare la tribuna).

Sento parlare di Marcello Lippi come possibile sostituto sia di Rudi García che di Stefano Pioli. Lo trovo un ragionamento da figurine Panini: raddrizzare una stagione non è uno scherzo, non bastano i nomi – servono gli attributi, serve una psicologia sottile. Donadoni sta facendo il suo, a Bologna; è sempre possibile che sia un allenatore “di categoria”, adatto più alle squadre di secondo piano che alle grandi (come si pensava, erroneamente, anche di Sarri). In generale, però, almeno ha lasciato buoni ricordi quasi ovunque – e a Genova (sponda rossoblù) va per mettere il sigillo a un mese e mezzo da incorniciare.

Certi incontri nascono per caso: Donadoni a Bologna, perché Delio Rossi non va e non si riesce ad arrivare a Montella. È nel gioco della vita, essere condannati o premiati dalle porte girevoli. Quello che non nasce per caso, però, è il successo che si riesce a ottenere, ecco.

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Pietro Luigi Borgia