Figli di un dieci minore: Anselmo Robbiati, il fantasista di riserva

Anselmo Robbiati da Lecco, classe 1970, appartiene a una speciale categoria di numeri dieci: quelli che, pur non avendo mai la maglia da titolare garantita, son riusciti a rimanere nei cuori della tifoseria, grazie alla capacità di subentrare a partita in corsa ed irrompere come il “Settimo Cavalleggeri”, capovolgendo le sorti del risultato finale.
Grazie infatti ad ottime doti tecniche, Robbiati è sempre riuscito a sopperire ad un fisico minuto, trasformando quel limite che lo penalizzava nell’impatto con i marcantoni del postsacchismo atletizzante in una qualità buona per prendere subito il ritmo partita e approfittare dei cali energetici altrui.

Tra i 17 e i 23 anni, senza allontanarsi troppo da casa, Robbiati disputò diversi campionati in bilico tra serie B e serie C1, con la maglia del Monza. Qui si concretizzarono due tratti fondamentali della sua carriera. Il primo, fu l’incontro con Giovanni Stroppa, che vedendolo arrivare ad un allenamento con il giubbotto di pelle e i capelli in gelatinati, così lo apostrofò in un attimo destinato a generare un eponimo eterno: “Sembri Spadino il cugino di Fonzie in Happy Days” (da notare come anche in quella circostanza, Anselmo non fosse stato considerato da Stroppa per il ruolo di Fonzie, ma per quello del suo prospettico vice).
Il secondo invece, squisitamente tecnico, riguardò le sue prestazioni, che crebbero in intensità e qualità, finendo per attirare su “Spadino”, le attenzioni della Fiorentina.

La stagione 1992-’93 fu per la Fiorentina una delle più terribili di sempre, nonché un’anomalia difficilmente ripetibile per il calcio italiano. La squadra viola, che poteva contare su giocatori come Batistuta, il neocampione d’Europa Brian Laudrup (fratello di cotanto Michael), l’ex Bayern Monaco Effenberg, il talentuoso ex Foggia Ciccio Baiano, dopo aver toccato anche il terzo posto nel girone d’andata, era caduta in una spirale al ribasso infernale dopo l’esonero di Gigi Radice, precipitando sotto la guida di Agroppi prima e Chiarugi poi, nei bassifondi di classifica. Al fine campionato, scontando una classica avulsa peggiore rispetto all’Udinese (agevolata da una atteggiamento compiacente della Roma all’ultima giornata), i Viola retrocessero in B (all’epoca, finivano nella cadetteria 4 squadre su 18 partecipanti).

A rifondare la squadra fu chiamato dalla famiglia Cecchi Gori un tecnico emergente, Claudio Ranieri, e venne scelta una linea giovane per innervare d’argento vivo la rosa della squadra. Anselmo Robbiati, reduce da 34 presenze e 10 reti con il Monza, fu uno dei prescelti.
Fu proprio Robbiati, insieme a “Pomodoro” Banchelli, a segnare le prime reti della rinascita nelle prime partire disputate all’inferno di B. Insieme a giovani come Giovanni Tedesco, il citato Banchelli, ma anche Toldo e Massimo Orlando, Tosto e Flachi, Zironelli e Malusci, Robbiati contribuì ad una pronta risalita, mettendo a segno 6 reti.

Raggiunta finalmente la serie A, a 24 anni, vi rimase per diverse stagioni, le migliori delle quali furono le 5 tra il 1994 e il 1999, in cui collezionò 124 presenze e 21 reti con la Fiorentina, vincendo una Coppa Italia nel 1996 (al suo attivo per la verità ve n’erano già 2 di serie C, vinte con il Monza nell’88 e nel ’91) e una Supercoppa italiana sempre nello stesso anno.

Mancino purosangue, abile palla al piede, dotato di ottimo tocco di palla tanto in corsa quanto da fermo (estremamente abile sulle punizioni e sui corner), capace di interpretare ruoli da esterno e da interno, e scattante nel breve e con spiccata propensione all’assist, Robbiati fu anche tra i primi calciatori a distinguersi sul terreno di gioco indossando vistosi scarpini gialli, quando ancora tutti portavano le classiche scarpette nere, oggi quasi estinte sui campi da gioco, se si esclude qualche arbitro e qualche portiere.

“Sant’Anselmo”, come pure presero a chiamarlo i tifosi viola per le sue doti di soccorritore in corso d’opera, mise a segno molte reti importanti. Segnò come contro la Juve (nel 1998, con Malesani in panchina) in un famoso 3-0. O come quando propiziò con una rete su punizione e un assist su calcio d’angolo una clamorosa rimonta contro la Roma all’Olimpico, nel 1996 (così, nella pagella del Corriere della Sera: “Robbiati 7: sinistro maradoneggiante per dimezzare il passivo su punizione, poi altre buone cose comprensive del corner utile al 2 2. Meriterebbe un posto fisso”).
Ma forse soprattutto, mise a segno il gol qualificazione contro lo Sparta Praga negli ottavi di finale di Coppa delle Coppe, nel 1996 (quella volta, giocando da titolare), inserendosi in corsa su un cross dello svedese Schwarz a tagliare l’area, con stop e tiro vincente sul palo opposto, tutto eseguito con l’altro piede, quello buono per scendere dall’autobus, il destro.

Dopo Firenze, Robbiati proseguì la carriera senza più vistose fasi salienti, giocando con il Napoli (in B) nel 1999, Inter senza presenze e poi Perugia nel 2000, Inter ancora senza presenze e poi di nuovo Fiorentina – con sole 5 malinconiche presenze – nel 2001, poi la discesa nelle serie minori, dove si distingue una discreta stagione ancora a Monza, in C2, con 29 presenze e 4 reti, a 34 anni.
Inutile chiedersi se oggi ci sarebbe spazio per la tecnica e la velocità di Robbiati in serie A. La risposta è sicuramente sì. Ma a patto di partire dalla panchina.