Pollice verso
Non funziona. E’ palese, questa Roma non funziona, e Garcia non è il tecnico adatto per la squadra giallorossa. Ci abbiamo provato, fidatevi, a tenerci dentro le sensazioni e fidarci del francese, ma non c’è più motivo oramai per girarci intorno, non c’è più tempo per aspettare: questa Roma non va, e il tecnico dei capitolini sta dimostrando oramai di non sapere più che pesci pigliare. La gestione di Gervinho ne è una dimostrazione lampante: acciaccato ma convocato, infortunatosi domenica scorsa con il Torino (al rientro, prematuro, da un’altro infortunio), schierato titolare con il Bate, fermatosi di nuovo durante il riscaldamento. Chapeau. Presente per quanto possibile, dunque, e convocato anche se a mezzo servizio l’ivoriano, perché imprescindibile negli schemi di Garcia, lui che sembra sempre più essere l’unica vera àncora di salvezza di un allenatore che spera di annegare nella sua velocità le proprie, purtroppo ovvie, lacune tattiche. Gervinho, insomma, come paracadute anti-tragici epiloghi, per un Garcia che al primo anno aveva colto tutti di sorpresa con questa mossa, ma che adesso, a furia di insistere e chiamarlo in causa sempre e comunque, nonostante condizioni piuttosto precarie, rischia di tenerlo fuori sempre più a lungo.
Il tecnico giallorosso è in completa confusione. Evidente che questa Roma non sappia come comportarsi, come agire. Pareggiare a reti bianche, in casa, contro il modesto BATE Borisov, e passare il turno solo perché il Bayer non ha saputo imporsi sui campioni d’Europa, è un lieto fine dal sapore amaro. E’ la dimostrazione che in casa giallorossa la priorità è cambiare la guida tecnica, e farlo subito, per dare una svolta alla stagione e puntare agli obiettivi stagionali che sono – rosa alla mano – assolutamente alla portata.
Spiacevole dirlo, sia chiaro. Non è mai bello puntare il dito contro qualcuno, men che meno contro Garcia, che comunque è e rimane un gran lavoratore. Il suo tipo di calcio, però, a Roma non porta frutti. Il francese non è in grado di imporre il suo modus operandi, nonostante i tentativi di erigersi a leader maximo di un gruppo che fa una fatica immane a seguire le sue indicazioni. Lui che urla al megafono le sue convinzioni, senza che poi riesca a far sì che i suoi ragazzi si rendano capaci di metterle in pratica. “Con il BATE dovremo vincere e vinceremo” aveva detto alla vigilia, in conferenza stampa. Certo, come no. Grazie, Barça.
La Roma, comunque, alla fine è passata tra le migliori sedici d’Europa, e lo ha fatto senza meritarlo. Qualificarsi come seconda nel girone, e farlo con 6 miseri punti complessivi, è una desolazione. Con il presidente Pallotta che, dopo aver assistito all’ennesima prova grigia dei suoi, piuttosto che entrare negli spogliatoi e dare il via a un’esibizione di ju-jitsu, ha preferito prendere le difese del gruppo e accusare la stampa, rea di criticare eccessivamente la squadra. Risposta sbagliata: non si tratta di critiche o elogi da fare o ricevere, non si tratta di tranquillità da dare o lasciare all’ambiente; si tratta di sottolineare – più che giustamente – le ingenuità di una squadra che per il valore che possiede avrebbe dovuto farne almeno cinque al BATE nella serata da sangue agli occhi e fame diabolica, nella notte da dentro o fuori questa Champions che ricordiamolo, in estate si diceva che bisognava viverla da protagonisti; si tratta di ricordare che questa è una squadra che avrebbe probabilmente dovuto addirittura già aver ammazzato un campionato che ancora non ha un leader. Come fatto dalla Juventus negli anni scorsi. Come la Roma non riesce a fare quest’anno.
Roma che invece si limita a resistere, aggrappata a risultati altalenanti che la lasciano comunque tra le grandi del calcio, certo, ma la dipingono come una “grande claudicante”, una squadra dall’andatura barcollante, con poco mordente, assolutamente non convincente. E con ogni probabilità, purtroppo per i tifosi di una lupa stanca di inseguire, no: neanche stavolta vincente.