Prime aperture del calcio ai transessuali ed ai transgender
Analizzando in maniera approfondita il calcio moderno italiano è saltato fuori il fatto che ad oggi non si conoscono casi di transessuali e transgender ingaggiati da squadre nostrane: la cosa, per quanto dispiaccia, non stupisce, vista anche la difficoltà che hanno i calciatori italiani a fare semplicemente coming out e dichiarare la loro omosessualità o le voci che circolano sul calcio femminile italiano che dovrebbe essere governato da una lobby lesbica (leggasi le ultime dichiarazioni del presidente del Torino Calcio Femminile Roberto Salerno).
A chi pensa che questo sia solo un ulteriore segnale dell’arretratezza del nostro paese riguardo ad alcuni temi civili, possiamo dire di mettersi il cuore in pace e chiarire che l’Italia è in buonissima compagnia di paesi come Gran Bretagna e Stati Uniti, e per dimostrare questo prendiamo due casi ad esempio per capire meglio la situazione generale.
Il primo caso riguarda Aeris Houlihan, una trans inglese MtoF (quindi da uomo a donna) che a giugno del 2013 aveva fatto richiesta per giocare nella squadra di calcio femminile di Leeds, lo Yorkshire. Ebbene, nonostante sui documenti Aeris venisse identificata come donna (in Inghilterra non è necessaria l’operazione) e le analisi dimostrassero che i suoi livelli ormonali erano identici a quelli di una donna, la Federcalcio inglese le ha negato la possibilità di giocare in una squadra femminile almeno fino a quando “la terapia ormonale non abbia ridotto al minimo i vantaggi legati al genere di provenienza, in modo tale da garantire una concorrenza leale.” Peccato che i livelli ormonali di Aeris dopo due anni di terapia siano del tutto identici a quelli di una qualsiasi ragazza… Ma niente da fare, Aeris dovrà aspettare la fine di quest’anno per giocare insieme alle ragazze.
Il secondo caso riguarda Kye Allums, il primo giocatore della NCAA apertamente transgender che attualmente gioca nella Division I nella squadra femminile della George Washington University da quando è venuto allo scoperto. Anche Allums ha dovuto lottare perchè la sua condizione venisse riconosciuta e in un’intervista ha dichiarato che secondo lui l’essere atleta trascende il sesso: “La forza non è misurata dagli ormoni o dal testosterone. La forza ti viene dal cuore e da come lavori e ti impegni. Lo sport parla di vittorie, di competizione, di rispetto, di cuore e di lavoro di squadra. Come giochi dipende da te e non da come sei fatto sotto la maglietta.”
La partecipazione dei transgender e dei transessuali nelle competizioni sportive è un argomento molto controverso: soprattutto nell’atletica i detrattori parlano di “vantaggio scorretto” dovuto al sesso originario, chiedendo test di verifica sessuale basati sul livello di testosterone o sulle caratteristiche fisiche per garantire il sesso dei partecipanti alle gare. Questo prò potrebbe non essere un test efficare perchè nelle persone che iniziano una transizione sessuale la stessa comporta l’assunzione di alte dosi di estrogeni e che, nel caso di operazioni di chirurgia sessuale, i livelli di testosterone nel corpo ne vengono sensibilmente intaccati. Molte organizzazioni sportive nel mondo hanno chiesto ed ottenuto di poter esentare atleti transgender dal partecipare a competizioni specifiche dal punto di vista sessuale, come la Gran Bretagna con il Gender Recognition Act del 2004, o hanno forzato atleti al coming out, com il Canada ha fatto con la ciclista Kristen Worley nelle qualificazioni alle Olimpiadi di Pechino del 2008.
E il calcio? A che punto è il football su questa particolare e spinosa questione? La questione di genere nel calcio ha una lunga storia e un audience mondiale, come ha dimostrato l’inchiesta della rete televisiva Al-Arabiya secondo la quale otto undicesimi della Nazionale Femminile di Calcio dell’Iran sarebbero uomini coperti dal velo che hanno comunicato la propria volontà di cambiare sesso, ma che ancora non hanno subito alcuna operazione e che sono stati espulsi dalla Nazionale. Se ci spostiamo di qualche migliaia di chilometri troviamo il caso delle fa’afafine (“sulla via per diventare donna”), atlete delle Samoa Americane che stanno completando la transizione per diventare donna e che rappresentano il terzo sesso riconosciuto e tutelato da cultura e istituzioni locali la cui punta di diamante è Jaiyah Saelua, prima giocatrice transgender in una gara di qualificazione della Coppa del Mondo. Possiamo chiudere questo giro del mondo tornando negli Stati Uniti con Athena Del Rosario, atleta transessuale che gioca nella squadra di calcio della University of California Santa Cruz e che spera un giorno di poter indossare la maglia della Nazionale di Calcio Femminile degli Stati Uniti.
A questo punto torniamo all’Italia: nel Belpaese pare che qualcosa si stia finalmente muovendo. Se da un lato ci sono ancora forti tabù legati ancora all’omosessualità (come hanno evidenziato nel tempo le dichiarazioni in tal senso di Marcello Lippi e Antonio Cassano) dall’altro lato abbiamo il caso di Marina Rinaldi, prima allenatrice transgender italiana. La trentatreenne, della provincia di Salerno, allena la squadra del campionato campano di Terza Categoria del San Michele Rufoli dopo essere stata ingaggiata da don Michele Alfano e don Giuseppe Greco, rispettivamente parroco di Rufoli e Ogliara.
Marina ora dirige la scuola calcio più antica di Salerno, quella dell’Ogliarese, e in un’intervista alla rivista VICE racconta la sua esperienza: “Sento l’impegno nei confronti dei ragazzi, anche perché parliamo di una zona un po’ emarginata della nostra città. Non ho avuto nessun tipo di problema, la federazione di Salerno non solo mi ha accettata, ma mi ha letteralmente accolta a braccia aperte. Sin dal primo giorno sono stata trattata come un allenatore uguale agli altri, in campo e fuori. Non ho discriminazioni da lamentare, solo tanta gente da ringraziare. Moralmente sono sempre stata una donna: il mio fisico è cambiato, ma io no. Avere un corpo che rappresentasse ciò che mi sentivo era il sogno della mia vita, ringrazio la mia famiglia e il Signore per avere permesso che si realizzasse. Ognuno di noi è ciò che sceglie di essere. Ho sempre condotto una esistenza tranquilla, così come in maniera normale ho vissuto il mio cambiamento fisico. Ci sono situazioni e situazioni, questo è chiaro, e il pregiudizio fa parte della natura umana. Ma se cammini a testa alta, prima o poi imbocchi la strada giusta. Il calcio maschile e quello femminile sono due discipline simili e diverse, autentiche ciascuna a modo proprio. Ognuna con la sua poesia, ma con differenze di sostanza tra loro.”
In Italia il cambio di genere è regolato da una legge del 1982 e gli spazi vuoti lasciati dalla normativa sono stati colmati grazie alle sentenze dei vari tribunali, sentenze che però nulla hanno a che vedere con il calcio, dove esiste ancora un vuoto normativo e sociale e dove tutto è lasciato al buon cuore delle persone ed alla loro intelligenza e tolleranza. Un anno zero, insomma, ma dal quale partire.