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Di Natale, e il difficile crepuscolo degli idoli

Non è facile, per nessuno e a nessun livello, imboccare il viale del tramonto, accettando senza colpo ferire la prospettiva d’un cammino declinante, senza tentare, talvolta disperatamente, di ribellarsi. Sono rari, in ogni senso, i Kobe Bryant e l’apprezzamento che tributiamo all’ex bambino intravisto sul parquet di Pistoia trent’anni fa o giù di lì, non deve andare a detrimento della comprensione dovuta in altri casi di “abbandono sofferto”. In ambito sportivo, questo è ancor più evidente, non foss’altro per le qualità caratteriali richieste nel perseguimento del successo: tenacia, caparbietà, voglia di non mollare mai. Difficile, se non impossibile, per chi sin da ragazzo ha dovuto imparare a contar su sé stesso (la comune retorica dei privilegiati che accompagna i calciatori trascura colpevolmente i sacrifici e le nulle certezze che l’intraprendere la carriera impone a degli adolescenti), maturando in autonomia la capacità di sostenere la pressione, reagire allo stress, trasformare la tensione in efficace reazione di campo.

Scriviamo pensando a Totò Di Natale, talento tra i più controversi e indiscutibili del nostro calcio recente, e alle vicende che lo hanno visto protagonista negli ultimi giorni, tra voci di ritiro anticipato (addirittura per fine 2015), confronti con la società (per ricordargli il contratto in scadenza a giugno 2016), mugugni e cazzate varie. La situazione del bomber di San Giovanni a Teduccio è emblematica quanto peculiare: campione approdato al calcio che conta con un certo ritardo, Totò è un predestinato (le qualità erano da subito indiscusse) che ha davvero rischiato di mancar l’appuntamento con la storia, se si pensa che, a ventun’anni, furoreggiava sì in bianconero, ma con la divisa del Viareggio nell’allora C2. Alle spalle, una crescita complicata a Empoli (la società che l’ha scoperto e ha creduto in lui), pure grazie alla vicinanza del conterraneo Vincenzo Montella, tre anni in più: al futuro Aereoplanino toccò addirittura ricuperare in Campania l’amico più giovane, fuggito a casa per problemi di ambientamento.
La stessa affermazione nel calcio “dei grandi” è graduale: arriva in A a venticinque anni da empolese, dopo tre bei tornei in cadetteria; a quel punto non è che dal napoletano ci si aspettino exploit. Pure l’approdo in Friuli arriva quasi in sordina, all’ombra del quasi coetaneo David Di Michele: con Iaquinta da terzo tenore, il club centra l’incredibile qualificazione Champions (unico vero approdo alla competizione per i bianconeri), ma, ancora, Totò è sì un bel calciatore, ma non il miglior fico del bigoncio.

La svolta, dopo i trent’anni: 2009, con Pasquale Marino sulla panca furlana, il progressivo avvicinamento alla porta avversaria e, dubbio tutto nostro da ammiratori del giocatore, un generale impoverimento tecnico della categoria, rispetto a qualche anno addietro. Da trequartista rapido e laterale, Totò si trasforma in centravanti tattico e mortifero finalizzatore: nanetto che, grazie a un’intelligenza calcistica fuori dal comune, se la batte coi marcantoni avversari, uccellandoli in velocità e precisione balistica. Tre tornei incredibili, anzi quattro: 29, 28, 23 e 23. 103 timbri, score impressionante che lo impone all’attenzione dei vari c.t. trascorsi in Nazionale. Nonostante l’età e le perplessità caratteriali (certe opinioni maliziose han prosperato pure sul mancato approdo alla Juve nel 2010), sono ben tre le grandi competizioni affrontate dal Totò azzurro: Euro 2008, Mondiali 2010 ed Euro 2012, con la soddisfazione del gol ai “mostri” spagnoli, nel pareggio d’esordio per il torneo che vedrà l’Italia vicecampione continentale.

Il carattere di Totò, scugnizzo rapido in campo, appassionato e generoso (le voci sull’aiuto alla famiglia Morosini sono state, con merito, tenute distanti dalle grancasse dell’informazione), non è facile: alle grandi qualità, abbina un’impaziente cazzimma, un nervosismo talvolta esiziale per chi lo affianca (chiedere a Gabriel Torje, giubilato dal napoletano dopo un più che discreto inizio di campionato 2011/12). Le prestazioni, ovviamente, lo hanno reso voce più che importante nello spogliatoio friulano, parere che i vari Guidolin, Stramaccioni e, adesso, Colantuono, non possono certo permettersi d’ignorare.

Allo stesso modo, però, incipiente canizie ed esperienza cumulata dovrebbero recare, in qualche modo, saggezza, capacità di discernere tra giusto interesse personale e fondamentale bene comune. Non è facile, è evidente, per chi, “facendosi da solo”, s’è industriato e ha imparato a reggersi soltanto sulle proprie forze (altro caso, per esempio, è quello di Totti: non più facile, s’intende, con la croce e la delizia dell’appoggio messianico di un’intera città, e che città, che lo vede come figlio e idolo al tempo stesso), risalendo la corrente d’una carriera complicata.
Eppure, proprio perché Di Natale ha dimostrato intelligenza sportiva e calcistica non comune (i suoi consigli da allenatore aggiunto sono spesso utilissimi) e che potrebbe offrirgli un’interessante futura carriera da tecnico, gli auguriamo sinceramente d’imboccare con giustezza la via del crepuscolo come atleta. Forse lo ha già fatto, a partire da domenica scorsa e quel bell’assist servito a Théréau.
Mancano alcuni mesi per appendere gli scarpini al chiodo: al meglio, per sé e per i compagni, sarebbe davvero il modo ideale per dimostrare, per l’ennesima volta, di essere un grande, alla faccia dei critici e di chi non gli ha creduto mai del tutto.