Essere campioni è diverso dall’essere grandi
Inevitabile. Ineluttabile.
Il mondiale 2015 è sempre stato nelle mani di Jorge Lorenzo fin dal momento della penalità subita e Valentino non ha potuto nemmeno lottare per toglierglielo.
Ma se due settimane fa su queste stesse righe avevo dato buona parte delle responsabilità proprio a Valentino Rossi, specie per aver fatto “incazzare” Márquez con quella sciagurata conferenza stampa in cui lo accusava di gareggiare pro-Lorenzo, ora, a giochi fatti, non si può non notare un paio di cose: la prima è che il titolo mondiale della MotoGP 2015 ha un solo volto ed è quello di Marc Márquez, non quello di Lorenzo né tantomeno quello di Rossi; la seconda è che il 93 in sella alla Honda (già campione del Mondo nel 2013 e 2014), una volta capito di non poter più vincere il Mondiale, ha deciso di correre deliberatamente contro Valentino. All’inizio in maniera più sottile, più “furba” se vogliamo, alla fine in maniera proprio spudorata.
Ciò che è successo nelle ultime due gare è sotto gli occhi di tutti. Dai 14 sorpassi (folli, pazzi, pericolosi) effettuati contro Valentino in Malesia prima del sovraesposto impatto tra i due al nessun tentativo provato ieri contro Lorenzo, nonostante una seconda metà di gara in cui il 99 in sella alla Yamaha aveva palesi difficoltà di gomme e nonostante le due Honda fossero notevolmente più veloci in pista. Il top si è raggiunto quando Pedrosa, dopo aver recuperato terreno negli ultimi giri, ha provato l’affondo per vincere la gara e Márquez, con una vigoria mai mostrata in tutta la gara, l’ha respinto duramente, quasi a fargli capire che non era la giornata giusta per i sogni di gloria. E insieme, uno dietro l’altro, sono arrivati al traguardo scortando Lorenzo, sempre primo e mai in difficoltà per i tre quarti d’ora di durata della gara.
Ma chi parla di “biscotto spagnolo”, utilizzando termini tanto cari al mondo del calcio, sbaglia di grosso. Marc Márquez non ha mai avuto come obiettivo quello di far vincere Lorenzo, anzi. I due si stanno anche notoriamente sulle scatole vicendevolmente.
L’obiettivo di Márquez è sempre stato uno solo: non far vincere Valentino. E il motivo è molto semplice ed è da ricercarsi nella vanità e nell’egocentrismo che caratterizza l’animo umano: vinti già due Mondiali ed essendo ancora giovanissimo, il talento spagnolo si è messo in testa di superare proprio Valentino come numero di titoli in bacheca. Capite bene come il non far arrivare Rossi a quota 10 quest’anno fosse il vero obiettivo primario.
Comprensibile, eh. Fa parte del gioco. Non condivisibile, magari, ma ci sta. Non si lamenti, però, se poi i suoi stessi connazionali lo fischino. Se non verrà mai ricordato come il più grande pilota di sempre. Se non resterà nel cuore della gente come altri piloti, anche meno vincenti di lui, invece hanno fatto. Finire due gare del genere corse in maniera del tutto diversa, praticamente con due stili di guida opposti, e poi rilasciare dichiarazioni tipo “non ho superato Lorenzo per colpa di Pedrosa, avevo in mente di superarlo all’ultimo giro” o tipo “non ci ho provato prima perché era troppo rischioso” ha come unico effetto quello di ammettere il suo coinvolgimento nell’assegnazione del Mondiale. Che, è giusto dirlo, è stato vinto da un signor pilota. Ma la sensazione che non sia stata SOLTANTO la pista a decidere c’è ed è molto presente nelle nostre teste.
Capiamo il voler essere il migliore della storia, il voler battere la leggenda di Valentino Rossi quanto a numero di Mondiali vinti. Ma l’essere campioni è così diverso dall’essere “grandi” che non sto nemmeno qua a spiegare le differenze. Lorenzo e Márquez sono due campioni. Il 93 probabilmente sarà anche il più campione di tutti. Ma Valentino Rossi è un grande e questa differenza tra Marc e Vale resterà per sempre un rimorso nel cuore dello spagnolo.