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Note a margine del caso-Tavecchio (l’ennesimo)

Non ho fatto in tempo a ricredermi parzialmente, a ripensarci. Non ho fatto in tempo a tornare indietro da qualche frase scritta (Tavecchio «garantirà le leghe e le squadre, ed è difficile vederlo impegnato in qualsivoglia rivoluzione», qui), a guardare a quel po’ di buono che è stato costruito, in poco più di un anno.

Rivoluzioni non ne ha fatte, no. Ma qualcosa sicuramente ha mosso, qui e lì: nella lotta alla criminalità nel mondo del calcio, nell’ammissione che Calciopoli non è stata (come una consistente vulgata vuole) una cospirazione a danno di innocenti-o-quasi. Di quando in quando, è inciampato sulla classica buccia di banana (sic), colpa di Lotito, di Palazzi o di se stesso.

Quindi, a distanza di qualche giorno, e a distanza di molti mesi dal quel #NoTAV(ecchio) che è stata la nostra prima presa di posizione, torniamo a dire la nostra.

Partiamo dalla posizione difensiva del presidente federale: si sarebbe trattato di un colloquio registrato a sua insaputa. Come se ciò cambiasse di una virgola la sostanza di ciò che ha detto. Adombra persino che la conversazione potrebbe essere stata manipolata (come se ce ne fosse bisogno). Certe cose non si dovrebbero dire, e neanche pensare – anche soltanto per quieto vivere, se non bastasse il fatto che viviamo nel 21esimo secolo. Neanche per compiacere un interlocutore.

Perché qui sta il primo punto: Tavecchio ha voluto fortemente la presidenza della FIGC, e l’ha ottenuta. Ma poi sembra non volersi rassegnare a dover reggere il ruolo istituzionale: per chiunque stia al suo posto, la forma diventa anche sostanza. Il qualunquismo non è concesso. Tantomeno le scorciatoie logiche e linguistiche. Al suo livello, le parole sono fatti.

Il secondo punto, però, sta nel metodo dell’intervista, e della notizia. Come già successo a Lotito, conversazioni private vengono a galla senza filtro. Ora: per il consigliere federale, si può anche dire che la presa di posizione fosse forte e diretta contro un risultato sportivo (per esempio, l’eventuale promozione del Frosinone del Carpi, poi effettivamente avvenuta), e che la sua diffusione fosse a garanzia di Iodice; per il presidente, invece, stavolta mi sfugge il busillis. È più che chiaro ciò che dice, ed è sgradevole; ma con lo sport c’entra davvero poco e nulla.

E poi: il giornalista che quasi imbocca Tavecchio (per esempio, suggerendogli la citazione di Umberto Eco – peraltro travisata nel significato), che lascia una registrazione in archivio per mesi e poi la fa sbocciare adesso. Eticamente, anzi deontologicamente, è accettabile? L’uso di finte interviste o conversazioni private (magari anche con imitatori: penso al programma La Zanzara) è accettabile?

È un buon esempio, una buona prassi da insegnare ai giornalisti del futuro? Sarò un illuso, ma fatico a chiamarlo giornalismo. Sicuramente fa notizia, ma non per questo è giornalismo. Chiamiamolo guardonismo informativo. Pericolosamente contiguo con l’opportunismo.

Infine: esistono alternative a Tavecchio? Di certo, il presidente del CONI Malagò non le vede. In realtà, anche noi: il mondo del calcio resta sempre spaccato in due, tra chi mette i soldi e chi invece scende sul rettangolo verde. Non c’è un reale disegno per il futuro del nostro calcio, quindi non c’è alternativa al candidato delle Leghe. Quello che quindi, peraltro, dovrebbe essere colui che porta avanti gli interessi del nostro calcio di fronte alla FIFA. Tavecchio che affronta Blatter: neanche in un film di serie B (lì c’è Abodi, mica come Beretta che per Lotito «decide zero»).

Il presidente. Il giornalista. Il lettore. E il movimento sportivo tutto. Non si salva nessuno. E noi men che meno.