Tennis, finale ATP Basilea: Federer torna a battere Nadal
Nella monotonia inflitta al circuito dal Djokovic targato 2015 c’era un solo evento in grado di destare la curiosità degli appassionati più di un eventuale – poiché rara – sconfitta del serbo: la resa dei conti numero 34 tra Roger Federer e Rafael Nadal, i protagonisti della rivalità per eccellenza del tennis moderno.
E non è solo per la longevità dei due ad alti livelli – il primo incrocio nel lontano 2004 – o per le partite memorabili generate dal più classico degli scontri di stili. Il “Fedal” non è neanche solo l’eleganza dell’attacco svizzero contro la prepotenza della difesa maiorchina. È l’epos che compenetra la racchetta, l’umanità della grandezza di Federer che troppo spesso non ha saputo aver ragione dell’inumana resilienza di Nadal, come cornice il più totale e più reciproco rispetto.
Spesso sviscerate, le ragioni della supremazia dello spagnolo non hanno saputo togliere fascino a questa rivalità. Che come un telegiornale perpetuo in onda su un televisore che non può essere spento è rimasta, inesorabile, a far da sfondo al dominio di Djokovic. Rubandone pezzi di popolarità, fette di critica, tranci di opinione pubblica. Chiunque aveva sviluppato la sua personalissima idea sul perchè Nadal vincesse tanto più spesso.
Questa volta è però stato diverso. 11esima volta in 34 sfide, Federer ha vinto, come non accadeva da Indian Wells 2012.
Da allora erano state cinque affermazioni di Nadal, e la sensazione che Federer potesse non vincerne più. Quindi inaspettato il crollo verticale di Rafa, poi mitigato in questo finale di stagione, e la seconda giovinezza di Roger, pronto – lui – a una nuova rivincita troppe volte rinviata dalla sorte beffarda. E da un Nadal (strategicamente, dicono i maligni) sempre fuori di scena prima che la commedia potesse svolgersi.
Della partita di oggi si potrebbe dire che Federer ha vinto il primo set (6-3) giocando un gran tennis, ha perso il secondo (5-7) sommando i suoi vecchi demoni alla solita impossibilità di arrendersi di Nadal, ha poi vinto il terzo (6-3) – e la partita – mettendo in campo l’orgoglio del campione che a un certo punto è sembrato dire “mi hai battuto quasi ovunque ma questa è casa mia, qui no“.
Tra le tante immagini della bella partita di oggi, più di ogni altra è emblematica la palla scagliata fuori dallo stadio da Federer dopo il match-point. Gesto liberatorio, inequivocabile. Non si era in uno Slam, neanche in un Masters 1000, non era il miglior Federer né tantomeno il miglior Nadal, ma è sembrato che lo svizzero volesse testardamente questa vittoria con l’orgoglio del campione che non si arrende all’evidenza di uno dei pochi numeri negativi della sua carriera. E un tennista che a 34 anni, pur avendo vinto praticamente tutto, continua a sentirsi in dovere di dimostrare qualcosa è un tennista che ci restituisce una grande lezione di umiltà; la stessa umiltà che spesso gli ha fatto difetto proprio nell’affrontare l’acerrimo rivale.
Il suo rivale, appunto, oggi ha perso, ma in una sola prestazione ha quasi battuto il suo intero 2015 di stenti e incertezze. Se Federer ha posto un mattone sul suo personale monumento della vendetta, Nadal ha cementato la convinzione di chi pensa di rivederlo protagonista nel 2016. Ma adesso, andiamo tutti a Bercy.