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Bisogna essere perfetti, per battere i neozelandesi nel rugby. Tocca esserlo perché loro lo sono di già, come base di partenza. L’ultimo quadriennio – per non parlare di prima – ha confermato che per batterli non puoi sbagliare nulla, devi curare ogni singolo dettaglio. Poi magari perdi lo stesso, ma intanto ne possiamo parlare: se sbagli qualcosa o sei superficiale, farai meglio a pensare alle parole giuste per congratularti con loro.

È successo questo in questa Rugby World Cup che, dopo sei settimane di fatica anche usurante, trova la sua conclusione più giusta. Speriamo epica, anche: gli ingredienti ci sono tutti. Innanzi tutto c’è la statistica che farà entrare Richie McCaw, ce ne fosse bisogno, direttamente nella storia:

C’è la rivalità storica e a livello di “società” tra australiani e Kiwis, c’è il tema dei più forti di tutti contro quelli che rappresentano il paese campione iridato in molte discipline (qui invece la lista delle sfide giocate quest’anno nei vari sport), c’è la splendida storia di un’Australia data per morta non troppo tempo fa eppure capace, in breve tempo, di togliersi il lusso di far fuori l’Inghilterra padrona di casa (qualcuno ha detto Ashes?), vincere il girone (contro il Galles mai grande al mondiale). Il tutto dopo il Rugby Championship 2015 portato a casa.

Dall’altra parte gli All Blacks, i finalisti previsti e annunciati: “testati” solamente dai Pumas nella fase a gironi, in una gara bella ed equilibrata, oltre che incerta, spaccata al momento decisivo dalla maggiore intensità dei campioni del mondo, oltre che dalla panchina corta degli argentini. Poi solo passerelle, sì interessanti per regalare alle Namibia di turno un sogno ma poco utili a livello di rugby giocato; puro divertissement il quarto di finale contro la Francia, replica della finale 2011 solo per il nome delle squadre a referto: francesi mai pervenuti, proprio imbarazzanti. Più tesa, fisica, tosta e tirata la semifinale: agli Springboks (terzi dopo il 24-13 all’Argentina ieri) è mancata la precisione nei dettagli di cui sopra, specie in fase di riconquista del campo da penalità neozelandese. Con quelle difficoltà in touche i tutti neri non li batti, semplicemente.

Da questo punto di vista gli Wallabies, rivitalizzati dalla cura Cheika, dal pragmatismo di andare oltre la regola sulla convocazione dei giocatori impegnati all’estero, da un ritrovato gruppo in cui ognuno aiuta il compagno e pensa soprattutto al bene collettivo, appaiono più scaltri e attenti dei sudafricani.

Sono del resto passati per le forche caudine del “gruppo della morte”, hanno vissuto contro Inghilterra e Galles una situazione da dentro/fuori o comunque da test match di prima fascia, sono morti e risorti contro la Scozia, non senza coda polemica finale. Pronti, o perlomeno lo sperano, a battere i migliori: o a porre loro le domande che nessuno, in questa Coppa del Mondo, ha avuto il coraggio e la bravura di fare. Si inizia alle 17: partitina da non perdere.