Mamma Roma, città aperta, vuoi per vocazione universale, vuoi perché punto d’arrivo di tutte le strade, da sempre accoglie e alleva figli, elargendo il suo ius solis anche di fatto, prima ancora che di diritto. Ma per chi si cimenta nel mestiere di calciatore, può capitare che, data la folta concorrenza nelle squadre principali e affiliate della Capitale, per poter giocare si è costretti a emigrare, infilando in direzione predestinata e contraria, le consolari che solcano le dorsali italiane.
Lungo la via Emilia, e più precisamente a Cesena, passò la strada di Antonio Genzano. Nato nel 1955, per l’appunto a Roma, all’esame coi vecchi insegnanti di un calcio concreto prima ancora che ricamizzante, il ragazzo dimostrò di possedere quelle fondamentali doti di qualità sia in fase di impostazione che di contenimento, che unitamente a una buona gamba, facevano presagire per lui un futuro da professionista. A patto però, di cercare la propria fortuna altrove.
Tra gli anni ’70 e ’80, la situazione in Italia era ben differente dall’attuale, per chi volesse imporsi nella massima serie. Da una parte infatti erano solo 16 le squadre militanti in serie A e solo due le sostituzioni ammesse a partita, mentre la panchina era ristretta a 16 elementi. L’impiego di giocatori risultava pertanto più basso e si richiedeva una soglia tecnica d’accesso probabilmente maggiore. Dall’altra parte però, vigeva un regolamento che limitava a 1 (e poi a 2), il numero massimo di stranieri per squadra, circoscrivendo la concorrenza ai cittadini del regno.
Genzano consumò la propria gavetta nelle serie minori, a Foggia e Novara. Tra il 1979 e il 1981 visse due anni intensi alla Sampdoria, negli anni in cui i blucerchiati languivano in serie B, dopo la retrocessione del ’77 e prima dell’avvento della premiata coppia Vialli & Mancini, dei Vierchowod, dei Cerezo e dei tanti campioni che l’avrebbero portata al trionfo in serie A e ad un passo dalla vetta d’Europa. Paolo Mantovani, che proprio nel 1979 aveva rilevato la proprietà societaria, rilevò Genzano, considerandolo uno dei giocatori necessari per il rilancio di quella squadra (in cui già militava il futuro libero della grande Samp, Luca Pellegrini). Con la costanza di 67 presenze (e 5 reti), Genzano diede il proprio contributo al progetto tecnico, pur non riuscendo a condurre la Samp in serie A. Per la Samp, la promozione sarebbe arrivata nell’anno seguente, mentre per Genzano fu immediata, e si concretizzò nel passaggio al Cesena, all’epoca provinciale dalla presenza reiterata e costante in serie A.
Dall’81 all’83, Genzano maturò 50 presenze nella massima serie, tutte in bianconero, contribuendo alla salvezza in particolar modo nella stagione 1981-82, quando mise a segno il suo unico, pesantissimo, gol,e bellissimo gol proprio nella città da cui era partito: Roma.
Il 31 gennaio 1982 il Cesena era atteso all’Olimpico di Roma, per la tradizionale sconfitta delle piccole nella tana delle grandi. I romagnoli avevano l’esigenza di arraffare punti per una difficile salvezza, ma la Roma di quei tempi poco se non nulla aveva da invidiare all’attuale. Era la squadra del Bomber Pruzzo, del Divino Falcao, di “MaraZico” Bruno Conti. In panchina insegnava calcio il Barone Nils Liedholm, maestro assoluto che aveva dato ai giallorossi un gioco nuovo, alto e divertente, grazie al quale nella stagione successiva sarebbe arrivato il secondo scudetto giallorosso (nell’anno precedente, era avvenuto il fattaccio del gol di Turone). I giallorossi erano in corsa con Juventus e Fiorentina per il titolo, il segno in schedina sembrava di quelli obbligati. Ma molti tredici sarebbero saltati.
Nonostante un assedio costante, gli assalti della Roma seguivano a infrangersi ripetutamente sulle linee difensive del Cesena. E fu all’ 84′, che in mezzo a cotanti illustri, salì in cattedra Antonio Genzano. Appena fuori dalla propria area, Genzano uscì in anticipo su un centrocampista romanista, partì distendendo una falcata ampia e veloce (oggi i cronisti più scafati, direbbero che aveva “il motorino”, magari un Sì Piaggio, per l’epoca), proseguì dritto toccando di giustezza il pallone, superò quattro giocatori e poco prima di arrivare a centrocampo aggirò i residui baluardi difensivi triangolando sulla corsa di un compagno che seguiva a sinistra. Il diligente compagno infilò la prateria libera rimettendo il pallone nell’area della Roma, dove in perfetto appuntamento con l’impatto ricomparve Antonio Genzano che, con semplicità e sicurezza, infilò alle spalle di Franco Tancredi. Per il Cesena sarà la prima, unica e storica vittoria all’Olimpico. ma soprattutto, fu la linfa vitale che supportò i bianconeri nella corsa alla salvezza.
Qualcuno lo chiamerebbe semplicemente un contropiede, ma a ben vedere fu un autentico coast to coast in due tempi: Roma – Cesena e ritorno.
Fatalità, il centrocampista giallorosso che perse quel pallone, era un altro romano, destinato però a una lunga carriera in giallorosso con il numero dieci sulle spalle: il diciassettenne Giuseppe Giannini, a cui Genzano rovinò il giorno dell’esordio assoluto in serie A. La leggerezza costò al Principe il ritorno in Primavera e l’attesa di altri due anni per riapparire di nuovo in prima squadra (neanche una presenza nel successivo anno dello scudetto).
Genzano proseguì la carriera a Cesena e solo a trent’anni si trasferì per un paio di stagioni in C1 alla Casertana, salvo ritornare a fine carriera a Cesena, iniziando una collaborazione con la società, lì dove aveva vissuto gli anni migliori: home is where the heart is.
Per chi volesse vedere quel gesto tecnico, qui, un video della partita .