Delio Rossi e l’esonero inutile
Viene quasi da dire che Claudio Lotito non avesse tutti i torti: dopo un quarto di campionato, sono saltate due panchine – entrambe di due neopromosse. Dopotutto, cosa se ne fa la Serie A di squadre come Carpi e Frosinone?
Poi guardi meglio, e vedi che ora come ora il Frosinone sarebbe salvo, e poi scorri la rosa: Blanchard, Rosi, Sammarco, Soddimo, Chibsah, Ciofani, Dionisi, Verde… senza cattiveria, non proprio il massimo. Meglio: un giusto mix di esperienza (ma da comprimari), di giovanissimi in rampa di lancio, e di quasi-giovani in cerca di riscatto. Insomma: per Stellone è fondamentale che il risultato finale superi la somma dei singoli giocatori, e non di poco. Gli esoneri vengono tutti dall’Emilia, con il Carpi e il Bologna. Saltato Castori, saltato Delio Rossi. Ed è su di lui che ci fermiamo.
Già allievo di Zeman dai tempi del Foggia, col passare del tempo ha aggiustato il proprio approccio. Due promozioni con la Salernitana, sfoggiando un 4-3-3 che era un marchio di fabbrica; poi anche Lecce, Lazio e Palermo, cominciando ad aggiustare il proprio credo, abbracciando un po’ più di pragmatismo. Allenatore discusso, anche: nel maggio 2012, chiunque abbia un po’ di memoria si ricorda l’aggressione ad Adem Ljajić. Sempre fumantino, ma da lì la parabola discendente si è accentuata ancora.
Eh già, perché Rossi, prima di finire al Bologna, è stato un allenatore da Champions, ai tempi della Lazio (ah, Lotito: sempre lui). Poi il Palermo, con Zamparini che prima lo incensa quale migliore allenatore mai avuto, e poi lo esonera in favore di Cosmi, e poi lo richiama, e infine i due si abbandonano di comune accordo, per… sfinimento reciproco. La parentesi viola, gli schiaffoni che sappiamo; le alterne fortune in casa doriana. Infine la chiamata a Bologna.
Già qualche mese fa, alle soglie della finale di Coppa Italia tra Allegri e Pioli, avevamo parlato dell’importanza di un esonero. Beh, forse è l’ora di guardare anche l’altro lato della medaglia, e di completare una narrazione rimasta a metà. Perché Rossi, a Bologna, era andato con una missione speciale: riportare i rossoblù in Serie A. Senza mai incantare, senza mai convincere, senza mai impressionare: ma alla fine a spuntarla non è stato il Pescara (che dal punto di vista del gioco avrebbe meritato di più). Miracolo compiuto, e rinnovo automatico del contratto.
Ecco, l’errore è qui. Perché poi in estate il mercato non è stato irresistibile (per una squadra che aveva faticato a salire di categoria), perché il gioco non è sbocciato mai. Perché poi, delle prime 11 partite (contando anche la Coppa Italia), il Bologna ne ha perse 9. Come è normale e comprensibile, per una squadra strutturalmente fragile, piena di giocatori di prospettiva, ma con un presente tutto da inventare.
Il difetto sta nel manico: non se non si credeva al tecnico, gli si doveva dare il benservito già in estate. Si doveva ringraziarlo per la missione portata a termine, un premio, un risarcimento per la rottura del contratto, una stretta di mano, e poi via verso nuove avventure.
E invece si è insistito su un progetto che neanche c’era. Esonerare Delio Rossi è stato, più che altro, un modo per lavarsi la coscienza: i risultati parlano chiaro, ma la rosa non c’è. A Frosinone fanno di necessità virtù, a Bologna non ci sono ancora riusciti. Al punto che Saputo, contestualmente all’ingaggio di Donadoni, con l’assemblea dei soci ha effettuato un aumento di capitale da più di 30 milioni: è quello che servirà a gennaio, per raddrizzare una squadra che non tira mai in porta. Requisito fondamentale per segnare, che è un requisito fondamentale per vincere.
Adesso tocca a Donadoni, ben sapendo che la prima scelta era Montella: prende una squadra in difficoltà esistenziale (ma, stavolta, a differenza del Parma, senza problemi economici insormontabili), per farne un gruppo capace di arrivare fino alla salvezza. Stavolta sul campo. Un sincero in bocca al lupo, e che la fiducia sia con lui.