A distanza di 23 anni, il Messico tornerà domenica a ospitare una gara di Formula 1. L’ultimo Gran Premio si svolse infatti nel 1992, sul circuito Hermanos Rodríguez in prossimità di Città del Messico. Fu Nigel Mansell, al volante della Williams, a salire il gradino più alto del podio, seguito dal compagno di squadra Riccardo Patrese e da un giovane e arrembante Michael Schumacher su Benetton. Il circuito su cui venerdì le monoposto scenderanno in pista, pur restando formalmente il medesimo, ha subito un profondo rinnovamento.
L’artefice di questa moderna configurazione, progettata in funzione delle regole sulla sicurezza in vigore negli ultimi lustri, è Hermann Tilke. L’ingegnere tedesco prediletto da Bernie Ecclestone ha apposto la sua firma sulla maggior parte dei nuovi circuiti del calendario, dal Bahrain alla Cina, passando per la Malesia e Singapore, tanto da far racchiudere in una definizione, “Generazione Tilke”, gli autodromi di recente elaborazione. A Cancun, da anni, procedono i lavori per la creazione del nuovo impianto Mantarraya; secondo i programmi avrebbe dovuto essere operativo fin dal 2007, ma attende ancora di essere completato.
L’autodromo Hermanos Rodríguez rappresenta la storia dell’automobilismo messicano, non solo per aver ospitato quindici competizioni di Formula 1, dal 1963 al 1970 e dal 1986 al 1992, ma per il nome stesso, che evoca il rimpianto per il destino di due talentuosi fratelli accomunati da un destino tragico. La storia della Formula 1 ha spesso mostrato un suo lato crudele, ma, nel caso di Pedro e Ricardo Rodríguez, il tributo di sangue pagato sembra gridare tutta la sua ingiustizia.
Provenienti da una famiglia agiata, figli del capo della pattuglia motorizzata di Città del Messico in gioventù acrobata di moto, fin da piccoli mostrarono la passione per ogni mezzo che avesse le ruote. Campioni di ciclismo nell’infanzia, passarono poi alla motocicletta per scegliere infine le automobili. Nel 1957, a Nassau, si imposero all’attenzione internazionale durante una gara Sport. Pedro aveva 17 anni e Ricardo soltanto 15, ma la giovane età non impedì al maggiore di correre, l’anno dopo, la 24 Ore di Le Mans su una Ferrari.
Fu però il minore, Ricardo, ad approdare per primo in Formula 1, nel 1961, a 19 anni, come pilota occasionale della Ferrari. Il suo debutto avvenne a Monza, nell’edizione rimasta cupamente famosa per l’incidente di Von Trips, in cui persero la vita il pilota tedesco e diversi spettatori a bordo pista. Il giovanissimo messicano mostrò immediatamente le sue qualità: si piazzò secondo nelle qualifiche e, in gara, diede battaglia per le prime posizioni, prima di ritirarsi a causa di problemi alla pompa di benzina.
I messicani cominciarono a sperare di poter presto annoverare un connazionale fra i campioni del mondo, come accaduto anni prima agli argentini con Juan Manuel Fangio. Il sogno durò pochissimo e il risveglio fu amaro e straziante. Ricardo, che desiderava partecipare a una competizione in casa, alla luce della decisione di Enzo Ferrari di non inviare le sue monoposto al Gran Premio del Messico, all’epoca non valido per il mondiale, decise di affidarsi per l’occasione a una Lotus della scuderia Walker. Il primo giorno di prove uscì di pista, probabilmente per il cedimento di una sospensione, sbattè contro il terrapieno e la vettura prese fuoco. Il giovane pilota, che aveva voluto a tutti i costi correre in una gara organizzata nella sua nazione, davanti ai suoi tifosi, morì fra le fiamme della sua monoposto. Aveva 20 anni e pochi mesi.
Il fratello maggiore, Pedro, dopo l’incidente meditò il ritiro, ma la passione per le quattroruote lo costrinse a ritornare sui suoi passi. Esordì in Formula 1 nel 1964, proprio su una Lotus, prima in Messico e poi negli Stati Uniti. Dopo alcune apparizioni, alternate a partecipazioni in altre competizioni motoristiche, nel 1967 conquistò stabilmente un posto in Formula 1, alla guida di una Cooper, ottenendo inaspettatamente la vittoria nella prima gara del campionato.
La sua carriera proseguì in un’eclettica alternanza fra Formula 1 e Nascar, Can-Am, campionato marche e Interserie. Fu proprio durante una gara del campionato di Interserie, al Norisring, che la sua Ferrari, forse per lo scoppio di un pneumatico o per il cedimento – ancora! – di una sospensione, si schiantò contro un muro. Pedro, sbalzato dalla vettura, morì così a 31 anni, a 9 di distanza dal fratello minore con cui, fin da bambino, aveva condiviso l’amore per i motori e per la velocità.