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Lenta e impacciata… ma capolista

Definirla a corto di idee è probabilmente un eufemismo, ma nei novanta minuti di Bologna c’è tutta l’Inter di Mancini. Una squadra con una difesa dominante per questa Serie A, con un Miranda in versione muraglia cinese e un Ranocchia che, per certi versi, ha faticato meno che in passato, così come Juan Jesus e Santon hanno dimostrato di saper fare la fase difensiva, seppur con caratteristiche diverse (uno più fisico, l’altro più veloce).

Le note dolenti, però, arrivano a centrocampo. Poca, pochissima qualità che sfocia in un fraseggio asfissiante tra difensori e centrocampisti, senza che nessuno di quest’ultimi abbia mai la capacità di trovare la giocata di qualità, quella verticalizzazione che regala un tempo di gioco ai compagni o permetta agli esterni di trovare un uno contro uno sulla fascia. Di fatto Perišić si è messo in proprio provando a saltare Ferrari un paio di volte, non riuscendo però a pennellare il cross giusto: ancora peggio Ljajić, che sul fondo non ci è mai arrivato ma ha aiutato la squadra con giocate diverse. Ancora da capire, invece, il ruolo di Brozovic in quest’Inter: un po’ rifinitore dietro Icardi, un po’ incaricato di svariare attorno a Melo e Kondogbia per aiutarli nell’impostazione di gioco, un po’ incursore grazie agli inserimenti (pochi) senza palla. Ciò che più dovrebbe preoccupare i tifosi nerazzurri, però, è la totale assenza di movimenti senza palla perché se è vero che giocatori come Felipe Melo e Medel non fanno della qualità nel palleggio il proprio punto forte, sfido chiunque a trovare varchi decisivi contro squadre che si difendono in undici dietro la linea del pallone e con i propri compagni praticamente fermi ad aspettare che succeda qualcosa.

Non è un caso che Kondogbia abbia trovato una delle pochissime giocate importanti della sua partita grazie a un movimento senza palla, proiettandosi in avanti dopo una sponda di Icardi: una situazione che si vede molto più che raramente ma che può portare i suoi frutti, nel medio-lungo periodo, perché il francese ha bisogno di ricevere palla in maniera dinamica per fare male agli avversari. Questo perché sinché non imparerà a giocare un minimo con il piede destro, chiunque lo pressi sa già quale linea di passaggio andare a chiudere: e a quel punto ormai è già tardi, perché Kondogbia non può fare altro che girarsi e iniziare una nuova azione partendo dai difensori. Una storia infinita, ripetuta più e più volte ieri sera, un equivoco tattico che ha fatto imbestialire Mancini nell’intervallo.

Paradossalmente l’Inter si è trovata a giocare meglio in dieci uomini, e questo è sintomo di due cose: incapacità di reggere la pressione, perché a quel punto la partita si poteva anche pareggiare e non c’era più l’obbligo di andare a prendere i tre punti, e grande carattere nel non mollare mai quando messi in difficoltà. Icardi e compagni, aiutati da un erroraccio del duo Gastaldello-Ferrari, hanno vinto una partita che, per come si era messa, era molto difficile da sbloccare: un Bologna restio, infatti, stava reggendo più che bene ai pochi attacchi nerazzurri, e tutte le bocche da fuoco interiste stavano sparando a salve quando chiamate in causa. Poi, dal nulla, un accenno di pressing ha permesso a Perišić di recuperare palla una ventina di metri più in alto rispetto al solito: che sia questa la chiave per vedere un’Inter in grado di creare più palle gol e trovare rifornimenti costanti per Icardi? Difficile dirlo, ma adesso arriva probabilmente l’avversario più difficile da affrontare: la nuova Roma di Rudi Garcia, quella che concede molto possesso palla agli avversari ed è pronta a ripartire in contropiede in maniera fulminea. Esattamente quel tipo di gioco che l’Inter, in queste dieci giornate di campionato, ha dimostrato di patire di più.