Quello andato in archivio ieri è stato un sabato di Serie A un po’ anomalo, per diverse ragioni. La prima, e più ovvia, è che ha visto disputare ben tre anticipi al posto dei due più consueti in vista del prossimo turno infrasettimanale, che incomincerà già martedì. La seconda è che ci ha regalato tre partite intense e probabilmente più combattute di quanto non fossero sulla carta, costringendoci a riflettere sui risultati maturati.
Il primo, quello di Empoli-Genoa, terminata con un secco 2-0 in favore dei toscani, ci consente di rivalutare una volta di più il lavoro di Marco Giampaolo: giunto al timone di una squadra che lo scorso anno è stata un po’ la rivelazione del campionato grazie al lavoro di Sarri, in estate il tecnico nativo di Bellinzona era in qualche modo condannato a poter fare solo peggio del predecessore, considerando anche che alcuni dei pilastri (Valdifiori, Hysaj e Rugani su tutti ma avevano il loro peso anche Verdi e Vecino) della scorsa stagione sono andati a cercare fortuna altrove. Il destino dell’ex allenatore di Siena e Cagliari era dunque apparentemente segnato in partenza e anche i più avveduti esegeti delle cose calcistiche si sono spesso sbilanciati a prevedere per gli empolesi nulla più di una probabile lunga e dura lotta per la salvezza, molto più complessa di quella maturata lo scorso anno.
I numeri invece ci rivelano che l’Empoli odierno ha tre punti e due vittorie in più rispetto a quello dell’anno scorso a questo punto del torneo e che, soprattutto, il nuovo mister ha saputo gestire nel modo migliore l’eredità di chi l’ha preceduto sulla panchina del Castellani facendo sì che nulla andasse buttato, anzi: Giampaolo ha saputo fare proprio il credo di Sarri e ricominciare a lavorare su quella stessa, solidissima base per centrare nuovamente la salvezza con un gruppo che, in larga parte, aveva già comunque acquistato una sua precisa fisionomia durante la gestione precedente. Un processo dunque di valorizzazione intelligente delle risorse a disposizione che, spesso, colleghi ben più blasonati dell’attuale tecnico dei toscani non vogliono o non sanno fare nel momento in cui arrivano in una nuova realtà. Magari la versione odierna dell’Empoli non divertirà o stupirà come lo scorso anno ma il materiale per salvarsi con agio senz’altro c’è e dalle parti di via delle Olimpiadi possono essere soddisfatti della scelta perché, com’è notorio, se salvarsi una volta senza avere cospicui mezzi da investire nella squadra è difficile, rifarlo lo è persino di più.
Al contrario, sta andando decisamente peggio di un anno fa il Genoa di Gasperini, allora nono e oggi appena tredicesimo, con ben cinque punti in meno rispetto a 365 giorni fa. Certo, l’avvio di stagione del Grifone è stato penalizzato da una caterva surreale di infortuni ma dopo un trittico di gare da sette punti, inclusa l’esaltante vittoria di una settimana fa contro il ChievoVerona in inferiorità numerica, era lecito aspettarsi di più dal Vecchio Balordo. I genovesi si riprenderanno certamente e, magari, con il recupero di Perotti e Tino Costa a una piena efficienza, coi gol di Pavoletti e con il definitivo inserimento negli schemi di gioco del mai pienamente espresso talento di Diego Capel potremo anche sperare di rivedere il bel gioco dello scorso anno.
Il secondo match di giornata ha invece contrapposto due compagini “disperate” del nostro campionato: prima del fischio d’inizio al Braglia, infatti, Carpi e Bologna potevano contare, tra tutte e due, lo stesso numero di punti della non proprio trascendentale Udinese edizione 2015/2016 che stiamo osservando in queste settimane. Il confronto tra queste due neopromosse agli antipodi (l’una dotata eccome di mezzi e strumenti per aspirare – nel lungo periodo – a ben più che una sofferta salvezza, l’altra neofita assoluta della massima serie e campione di Serie B assolutamente a sorpresa lo scorso anno) ha dato vita a una sfida nervosa, molto tirata, che certo la rivalità geografica non ha aiutato: l’ha infine spuntata il Bologna, magari senza incantare ma cogliendo i tre punti che servivano.
Indubbiamente l’espulsione di Lollo ha aiutato i felsinei in una dura rimonta e il Carpi, in realtà, forse non meritava neanche di uscire senza punti dalla partita ma la ruota ha girato nel verso più congeniale ai rossoblù. Insomma, per ora Delio Rossi è salvo ma il tecnico ex Lazio non può sedersi sugli allori e dovrà subito incanalare l’entusiasmo dovuto a questa boccata d’aria fresca in maniera da poter finalmente avvicinarsi al completamento del puzzle che di fatto è la rosa a sua disposizione, il cui valore complessivo stride decisamente con la desolante posizione in classifica ma che, senza alcun tipo di amalgama, rischia di venire sperperato (come sempre, il rischio di attrezzarsi tecnicamente per la Serie A intervenendo pesantemente sulla rosa dopo una promozione è un assemblaggio troppo lento dei giocatori disponibili, ancorché molto validi, magari).
Ora il Bologna è atteso a una prova di fuoco contro l’Inter, capolista di stanotte ma verosimilmente detronizzata prima ancora che sia lunedì: ai felsinei servirà una prova maiuscola anche solo per ottenere un punto contro la banda di Mancini che, pur avendo diversi problemi, resta comunque una realtà molto solida e coriacea, difficile da scalfire se non si mette in campo qualcosa di più di semplici corsa e buona volontà.
Ecco, proprio l’Inter di Mancini s’è confrontata con il Palermo in una gara divisibile perfettamente a metà: a un primo tempo poco affascinante e noiosetto anzichenò è seguita una ripresa vibrante e piena di emozioni, in cui sono emersi appieno pregi e difetti di entrambe le compagini. I nerazzurri hanno dimostrato di avere ancora un centrocampo deficitario sia come proposizione di gioco, sia come schermo difensivo e, più in generale, sono in piena ricerca di una identità definitiva. A tratti una fisionomia potenzialmente stabile s’intravede anche ma per ora è solo un flebile riverbero di qualcosa che potrebbe essere ma che ancora non è e la soluzione finale, in fondo, è un semplice aggrapparsi agli elementi di maggior talento presenti in rosa (soprattutto Jovetić ma anche Miranda si sta imponendo come riferimento assoluto in difesa).
Un discorso simile si può fare anche sul Palermo: i rosanero hanno insistito per tutta la gara sulle loro migliori invidualità e, su tutte, ovviamente Franco Vázquez, tenuto opportunamente a bada dal solo Miranda tra gli avversari meneghini (e non senza fatica). Tutti gli altri giocatori nerazzurri hanno più o meno continuamente subito la sorte dei birilli al cospetto dell’italo-argentino, più volte capace di seminare da solo il panico tra le linee interiste. A fare da contraltare al fantasista col numero 20, ci ha poi pensato capitan Sorrentino, confermando una volta di più di essere tra gli estremi difensori più affidabili dell’intera Serie A: senza i salvifici e provvidenziali interventi del suo portiere (particolarmente notevole quello su Biabiany, nel finale), infatti, il Palermo avrebbe rischiato di vedere annullati i suoi sforzi di contenimento del peso offensivo dell’Inter.
Nonostante però i singoli di valore e l’abnegazione tattica con cui gli uomini di Iachini hanno saputo annullare gli ospiti per un tempo abbondante – e forse la ragione dello scarso fascino del primo tempo è da ricercare nella loro perfetta disposizione in campo che ha letteralmente imbrigliato il Biscione – va tuttavia rimarcato che al Palermo attuale manca la sfrontatezza quasi adolescenziale mostrata lo scorso anno e figlia di una facilità di costruzione della manovra offensiva che, per adesso, in questa stagione latita. La sensazione è che, perso un elemento fondamentale come Dybala, si sia voluto puntare su uno stagionato ma funzionale goleador come Gilardino colmando la lacuna di tecnica e di imprevidibilità conseguente alla cessione della Joya con uno spostamento della qualità della squadra tra i centrocampisti che dovrebbero naturalmente fare da raccordo con l’attacco (il tentativo di responsabilizzazione ulteriore di Quaison e Čočev così come l’innesto di Hiljemark vanno probabilmente letti in quest’ottica). Tutto ciò nell’attesa della crescita di Djurdjević e del suo adattamento al campionato italiano (e forse anche di quella di Cassini, a oggi oggetto abbastanza misterioso ma di età verdissima).
Insomma, pur non presentando al pubblico alcun big match e, anzi, avendo in cartello tre gare più attinenti alle zone di classifica medio-basse, questo sabato 24 ottobre 2015 di Serie A può essere consegnato alla storia come una giornata senz’altro interlocutoria e ricca di tracce in cui provare a leggere il futuro del nostro campionato, del quale è in corso una stagione particolare, in cui si respira un’aria da “tutto può succedere” come quasi mai è accaduto negli scorsi anni.
Sperando che continui così, ovviamente.