Il calendario della Formula 1 domenica ad Austin marcherà la sua sedicesima casella stagionale. Dal 2012 il circuito texano è sinonimo di Gran Premio degli Stati Uniti, ma in passato furono diversi gli autodromi deputati a ospitare la gara americana. La prima competizione ufficiale si svolse in Florida, a Sebring, nel 1959, soppiantata l’anno seguente, da Riverside in California.
Dal 1961 la sede del Gran Premio a stelle e strisce venne stabilita a Watkins Glen, nello stato di New York e vi rimase per 15 edizioni, il lasso di tempo più lungo, seguita da Indianapolis con le sue 8 edizioni dal 2000 al 2007. Dal 1984, anno in cui il Circus tornò oltre oceano dopo una pausa di quasi dieci anni, al 1991 si avvicendarono diversi circuiti: Dallas, Detroit e Phoenix.
La prima (e unica) edizione tenutasi a Dallas resta però impressa nella storia di questo sport, per i caratteri unici e irripetibili che la caratterizzarono. Basterebbe un semplice dato per illustrare la singolarità di quel Gran Premio: soltanto 6 vetture, sulle 25 in griglia, tagliarono il traguardo. Le condizioni dell’asfalto, unite a un caldo tanto rovente da risultare quasi tossico, crearono un contesto che sottopose i piloti a una fatica fisica enorme. Parafrasando un celebre film di Sidney Pollack, “Non si uccidono così anche i cavalli?”
Nelle qualifiche del sabato la Lotus sorprese tutti, piazzando Nigel Mansell e Elio De Angelis in prima e seconda posizione. Sesta una Toleman guidata da un giovane brasiliano su cui già si stavano concentrando le attenzioni di tifosi e addetti ai lavori: Ayrton Senna. Alla partenza Mansell mantenne agilmente la testa, mentre Derek Warwick, secondo dopo aver sopravanzato De Angelis, dovette ritirarsi dopo una decina di giri.
Il cambio della Lotus cominciò però a cedere e il pilota inglese, con due marce in meno, venne sorpassato da un arrembante Keke Rosberg e da Alain Prost. Quest’ultimo riuscì ad agguantare il primato, ma potè goderlo per pochi giri, a causa di un errore che lo portò a sbattere contro il muro. Il suo fu uno dei tanti ritiri che costellarono il Gran Premio, alcuni dovuti a guasti tecnici, altri ad errori provocati dall’insopportabile caldo che negli abitacoli tormentò i piloti durante tutta la corsa.
Keke Rosberg, sulla Williams con motore Honda Turbo, vide per primo la bandiera a scacchi, seguito dalla Ferrari di René Arnoux e dalla Lotus di Elio De Angelis. Mansell, sesto nonostante l’inconveniente alle marce, si fermò a pochi metri dal traguardo, tradito da un problema alla trasmissione. L’inglese però non volle arrendersi: scese dalla monoposto e, seppure esausto, iniziò a spingere la sua vettura nel tentativo di giungere al traguardo. Crollò a terra dopo pochi metri, stremato, fra lo stupore degli spettatori. A fine gara i commissari lo classificarono come sesto, ma gli applausi e le ovazioni del pubblico lo decretarono moralmente primo. Perché, a volte, esistono vittorie che non vengono scritte negli albi d’oro, ma restano incise nei cuori degli appassionati.