Come diceva una celeberrima canzone dei Beatles, lei ha un biglietto per una corsa (e non gliene importa nulla). Potremmo adattare calcisticamente il testo del signor John Lennon a una ‘lei’ molto precisa: la nazionale italiana che ieri, in quel di Baku, ha – come si dice in questi casi – strappato la qualificazione per i prossimi Europei che si terranno all’inizio dell’estate del 2016 in terra di Francia.
In tanti hanno scritto nelle scorse ore (e presumibilmente scriveranno nelle prossime) che l’obiettivo minimo di Antonio Conte è stato raggiunto e ciò è senz’altro vero, così com’è vero che il difficile – e il bello, suvvia – comincia solo adesso. Perché lo sappiamo tutti, per quanto costituiscano un passaggio obbligato per avere accesso alle manifestazioni più importanti che piacciono e interessano a tutti, le qualificazioni (siano per i Mondiali o per gli Europei) non riscuoto quel successo di pubblico e critica che invece hanno puntualmente i grandi tornei a cadenza quadriennale e questo comporta, spesso e volentieri, che gli spettatori più disattenti riguardo alle gesta della Nazionale arrivino impreparati al calcio d’inizio delle “partite che contano davvero”, senza avere ben presente la fisionomia della squadra che pure si apprestano a sostenere.
In questo senso, si può dire che l’Italia di Conte, ieri, abbia fatto almeno due passi in avanti di una certa rilevanza. Il primo, quello per certi versi più rognoso, è senz’altro l’aver portato a termine la missione senza (troppi) patemi d’animo. In Azerbaigian bisognava vincere per chiudere la pratica e, in effetti, la pratica è stata chiusa in modo netto; la Nazionale ha fornito una prestazione solida e concreta, focalizzata su quel che serviva ottenere – anche grazie alla non proprio irresistibile caratura tecnica dell’avversario, questo è ovvio. Ma sicuramente la compagine volenterosa ma poco cattiva vista contro Malta e Bulgaria ha lasciato spazio a una formazione più in modalità killer, che ha saputo spietatamente affondare il colpo quando serviva e uscire dal Tofiq Bəhramov col bottino pieno.
Certo, non sono mancati alcune disconnessioni cerebrali dal match, specialmente dietro, dove i difensori hanno faticato in più di un’occasione a rimanere con la testa dentro la partita, probabilmente a causa del precoce vantaggio e della scarsa considerazione riservata all’avversario di serata; il gol del momentaneo pari azero, in quanto errore collettivo di tutta la difesa azzurra, testimonia in pieno la fatica fatta dai vari De Sciglio, Chiellini, Bonucci e Darmian per rimanere presenti a sé stessi: il terzino del Milan è attirato qualche metro più avanti rispetto alla linea dei compagni di reparto dal giocatore che deve marcare e lo spazio che lascia vuoto viene attaccato da Qurbanov, Chiellini lo anticipa malamente e alza un assurdo campanile sul quale anche Bonucci manca a sua volta maldestramente l’intervento di testa spalancando la porta a Nazarov, ormai imprendibile per Darmian, attardatosi troppo nel chiudere la diagonale. Trovare un unico colpevole in questa situazione è impossibile: con la parziale eccezione di De Sciglio, forse poco lucido nel leggere l’azione ma comunque ligio alle consegne del CT, tutti gli altri sono ugualmente protagonisti in negativo del gol azero.
Nonostante questo tipo di disattenzioni, non nuove all’incarnazione contiana dell’Italia e rese meno gravi dall’inconsistenza dell’attacco avversario, l’approccio mentale alla sfida è stato tutt’altro che disprezzabile e l’aver segnato a Baku tre gol, fin qui il massimo della prolificità azzurra sotto l’egida del tecnico ex Juventus, può essere appunto considerato un segno del miglioramento tricolore in quanto a cattiveria agonistica e voglia di ottenere dalle partite esattamente quanto ci si era prefissati alla vigilia.
Ma non solo. Si diceva di un altro miglioramento e questo ha un nome e un cognome: Marco Verratti. Il piccolo (solo di statura fisica) regista del PSG, liberato dalla difficile coesistenza con Pirlo o De Rossi, ha sfoderato una delle sue migliori gare in assoluto con la maglia azzurra. Al di là dell’assist meraviglioso per il vantaggio di Éder, il centrocampista abruzzese ha finalmente potuto godersi una serata di leadership incontrastata nel centrocampo italiano e la situazione favorevole ne ha messo in luce tutte le qualità (sì, ha anche perso qualche pallone così come ha talvolta peccato di precisione ma sono rischi del suo stile di gioco: se non si vogliono vedere queste piccole sbavature non si fa giocare Verratti, come ha dichiarato lui stesso qualche tempo fa a Rivista 11) così come ha dato una chiara idea di quanto può essere determinante l’ex Pescara nelle sorti della Nazionale – ammesso e non concesso che non lo sia già, naturalmente. In altre parole, Conte dovrebbe seriamente considerare di adattare la sua squadra a Verratti piuttosto che fare il contrario, anche se questo dovesse significare lasciare Pirlo in panchina e spostare De Rossi: staremo a vedere cosa deciderà di fare il mister salentino (che certamente stupido non è e che ha a disposizione ancora alcuni test-match per sperimentare).
Tuttavia, almeno per oggi, si può pensare che, avendo già in mano il pass per la Francia, si può ricominciare a lavorare anche domani sulla soluzione dei problemi che ancora ci sono nonché alla centralità di Verratti nel progetto Italia o sulla cattiveria di squadra. In fondo noi quel pass l’abbiamo sudato e meritato e possiamo concederci il lusso, almeno per alcune ore, di sognare il viaggio che ci attende: noi abbiamo un biglietto valido per una corsa di sola andata per gli Europei e, in fondo, del resto non ce ne importa nulla.