Blatter e Platini, sospensione con ostilità
«Per l’editoriale so cosa voglio scrivere, ma non mi sono ancora venute su le parole giuste» ho detto a un collega, prima di mettermi a scrivere. «Un bel “maiale” ci sta sempre bene!», mi ha risposto lui, ridendo. Una battuta che era l’accensione che ci voleva, per trovare il coraggio di parlare ancora una volta di FIFA e di scandali.
Difficile restare equilibrati, quando si mettono in gioco le massime cariche dello sport più praticato al mondo. Difficile anche perché gli intrecci e le storture sono ovunque, e noi italiani per primi non possiamo propriamente parlare (Blatter non ci ha mai potuti sopportare… ma vogliamo parlare delle dichiarazioni di Tavecchio, capace di farsi sospendere dall’UEFA per la storia di Optì Poba?).
E quindi via alle sospensioni: definitivamente giubilato il vicepresidente Chung Mong-joon (sei anni: potrebbe rientrare solo nel 2021, ma giusto in tempo per i Mondiali in Qatar alla cui assegnazione avrebbe ben contribuito), impossibile non agire anche per Jérôme Valcke e lo stesso Blatter, giunto al quinto mandato (lo abbiamo detto da tempo: in classifica, ha raggiunto Mubarak), sospesi 90 giorni (più altri 45, forse). Stessa identica pena per Michel Platini, presidente uscente (uscito?) dell’UEFA.
Chung e Platini erano due dei quattro candidati a succedere proprio a Blatter (gli altri due sono il principe giordano Ali bin Hussein e l’ex calciatore Zico (più il liberiano Musa Bility, che però non ha il necessario sostegno di almeno cinque federazioni). Come a dire: si riparte da zero. Forse, e magari: perché per ora il reggente della FIFA è diventato il vicepresidente Issa Hayatou, camerunense, a capo della CAF dal 1988. Nonché sotto inchiesta sempre per l’assegnazione dei Mondiali 2022.
Facciamoci un rapido calcolo: con una sospensione di 90 giorni a partire da ieri, Blatter e Platini si “liberano” il 6 gennaio; se andasse a regime la proroga di 45 giorni, il 20 febbraio si chiude. Giusto in tempo per le votazioni del 26.
Conosciamo il tipo: ha costruito un giocattolo niente male. Oltre cinque miliardi di dollari di fatturato in quattro anni: niente male per un’associazione no-profit che conta sull’associazione di oltre 200 federazioni (l’ONU si ferma a 193 stati membri, più 2 osservatori). Un sistema apparentemente democratico, basato sull’idea (sbagliata) che il voto di tutti porti necessariamente al giusto risultato. Poco vale far notare (lo ha fatto ottimamente la Reuters) che isole sperdute come Guam, Tonga o le Seychelles hanno ciascuna lo stesso peso, per dire, del Brasile pentacampione. Con la differenza che blandirle è molto, troppo più facile.
E così siamo arrivati a oggi: un candidato è definitivamente fuori, un altro è bandito da ogni attività (e con lui anche il presidente uscente). Invece di andarsene al sole dei Caraibi in quel di Montserrat o ad Anguilla, o alle isole Cook, o a San Marino o alle isole Cayman (un paradiso fiscale: Sepp ci si troverebbe bene), questo è stato il rilancio di Blatter: andare a fondo, portandosi tutti a fondo. Lo aveva detto Michael van Praag, candidato (poi ritiratosi) alle ultime elezioni: «È venuto il momento che la Fifa sia normalizzata e si concentri sul calcio». Povero illuso.
Il primo atto di Blatter nel 1998, appena eletto a presidente della FIFA, era stato una caduta con stile. Diciassette anni dopo, siamo in ogni caso alla caduta di stile. Sperando che il cerchio, finalmente, stia per chiudersi.