Mi sono innamorato di Maurizio Sarri in un freddo pomeriggio di metà febbraio, quando, dopo aver visto il suo Empoli dominare a San Siro e uscire dal campo con un solo punto, si presentò in sala stampa per rispondere a domande fatte esclusivamente sui rossoneri e non sul gioco abbagliante mostrato dai suoi ragazzi. Nonostante la poca accortezza dei giornalisti presenti, mister Sarri riuscì in poche battute ad analizzare alla perfezione il momento del Milan della gestione Inzaghi: “Il Milan, visto dal campo, è una squadra che non si diverte a giocare a pallone. Ai miei ragazzi chiedo sempre di dare il 101% in campo, mentre i rossoneri mi sembra si fermino al 100%. La differenza di quel punto percentuale è nel divertimento, il divertimento ti fa andare oltre i tuoi limiti, ti fa giocare meglio”.
Colpo di fulmine. E non che non lo apprezzassi anche prima di sentire queste sue parole, sia chiaro.
Partendo dal presupposto che l’allora allenatore dell’Empoli fu fin troppo educato e gentile nei confronti della gestione Inzaghi e dei giocatori scesi in campo quel giorno, colse precisamente nel segno. I giocatori giocano. Giocando ci si deve divertire. E ci si diverte solo giocando bene: bene, Maurizio Sarri mette tutto se stesso per fare in modo che i suoi giocatori in campo si divertano per novanta minuti. Il Milan, sia quello Inzaghi così come quello di Siniša Mihajlović (anche se in maniera completamente diversa), non gioca bene e non si diverte. La differenza sostanziale, la sintesi ridotta al nocciolo della questione, è proprio questa.
Sarri ama far giocare bene le sue squadre perché sa che da un’idea di gioco corale e propositivo ne guadagnano anche le prestazioni dei singoli giocatori, coinvolti nel sistema e nell’organizzazione della manovra. Rende tutti partecipi dell’obiettivo: ogni singolo movimento è parte di un meccanismo perfetto che ha come unico scopo quello di creare i presupposti per il dominio sull’avversario, che sia fatto in fase difensiva o in fase offensiva. Niente è lasciato al caso e i reparti si muovono all’unisono, collaborando tra di loro con movimenti che se fossero scritti su un pentagramma suonerebbero il “Canone” di Johann Pachelbel. Totalizzanti.
Ovvio che poi una sinfonia calcistica del genere esalti le caratteristiche di interpreti meravigliosi come Insigne e Higuaín, tanto per citarne due a caso, ma la bravura nel farli suonare così bene insieme è tutta del direttore d’orchestra Sarri, che sta dimostrando come l’estetica possa risultare tremendamente efficace, se applicata al gioco del calcio. Non è certamente il primo al mondo e né, speriamo, sarà l’ultimo. Basta vedere cosa sta facendo Paulo Sosa con la sua Fiorentina capolista. Ma permettetemi di restare affascinato di fronte a un uomo che è riuscito a fare dell’unione tra la bellezza e la geometria il suo credo calcistico, esaltando l’arte del gioco del calcio, che nell’espressione del tecnico toscano risulta essere sia la causa che l’effetto del sistema.
Niente di tutto questo, invece, ho visto nel Milan di Mihajlović. Diverso, senza dubbio, da quello del suo predecessore fondato sulla difesa e sul contropiede veloce, ma ugualmente e tremendamente povero di idee offensive e di identità. Da quello che traspare guardando i rossoneri, la sensazione è che l’allenatore serbo voglia dare un gioco propositivo alla sua squadra, ma che le idee proposte si limitino a due o tre: il movimento a pendolo dei due attaccanti (uno incontro e uno nello spazio), la ricerca esasperata della verticalizzazione in profondità e l’inizio dell’azione palla a terra. Poche e il più delle volte fatte male, con i reparti scollegati tra di loro, le distanze allungate e l’incapacità di muoversi tutti insieme giocando da squadra.
La differenza la fa il divertimento, è vero, ma i giocatori — per quanto possano sicuramente fare di meglio rispetto a quanto visto finora — vanno aiutati: avere delle idee di gioco chiare e un allenatore che gliele sappia spiegare potrebbe sicuramente essere utile.