Si giocherà stasera alle 21 Inghilterra-Australia, la partita dell’anno. Almeno per quanto riguarda il rugby, infatti, mai in stagione c’è stata così tanta posta in palio: vero le finali di coppa, vero i match decisivi del Sei Nazioni, ma qui un gigante rischia di lasciarci le penne, mica poco.
Paragonando le statistiche attuali con quelle del rugby di una volta, si evince che il “cap” pesa molto meno: si gioca molto di più, i test match non sono amichevoli come nel calcio ma arrivano varie volte l’anno, con non poche finestre internazionali nei due emisferi, con giocatori anche di medio livello capaci di andare oltre la decina di presenze. Ecco, circa stasera e ciò che dalle 21 in poi accadrà a Twickenham, dimenticate tutto questo: è un “test” vero, è un internazionale raro e pesante come quelli di una volta.
L’inflazione delle partite tra nazionali di alto livello non stupisce, facendo la loro parte necessità di mercato, business, oltre che sul piano tecnico la voglia e il dovere di confrontarsi con i più forti. Anzi, se c’è una cosa che questa prima parte di Rugby World Cup ha gridato a World Rugby è che le nazioni di livello medio-basso attualmente fuori dai due grandi tornei annuali (Sei Nazioni e Rugby Championship) andranno inserite in qualche modo nel giro che conta: spesso a Georgia e Canada, per dirne due, è mancata quella malizia che solo gli schiaffoni un anno dopo l’altro da francesi e inglesi ti insegnano (e infatti una mediocre Italia s’è liberata dei canadesi anche così, di pragmatismo), mentre il Giappone sfiancato e poco abituato all’intensità di certi incontri non è riuscito a dare continuità all’impresa col Sudafrica. Ma se per il movimento giapponese qualcosa di nuovo si vede all’orizzonte (vedi ristrutturazione del Super Rugby, vedi Mondiale 2019), per le realtà nordamericane o per l’Europa sotto il livello di Scozia e Italia manca un’attenzione da parte degli organismi internazionali: ci si dovrà porre rimedio, per il bene dello sport in quelle zone ma soprattutto per tutto il mondo ovale, che può solo trarre giovamento dall’aumento di competitività generale.
Ma tornando a stasera, programmazione, orizzonti e chiacchiere sul lungo termine stanno a zero. È l’ora dell’hic et nunc, non c’è appello. Specie per l’Inghilterra, che dall’indomani dell’inopinata uscita ai quarti contro la Francia a Nuova Zelanda 2011 non ha pensato ad altro che al mondiale in casa. Sacrificati i giocatori non futuribili, Stuart Lancaster ha lasciato pian pianino crescere e lievitare gruppo e progetto; qualche correzione in corso d’opera (poche ma significative: su tutte il corteggiamento a Sam Burgess durante la Coppa del Mondo di rugby league nell’autunno 2013), il dilemma del mediano d’apertura (dicesi caso di troppa abbondanza), la continuità globale (perse pochissime gare negli ultimi 4 Sei Nazioni, ma quelle decisive) ma il braccino corto al momento del dunque. Ecco: l’impressione è che gli inglesi ci tengano davvero troppo e che la pressione li stia stritolando, nonostante la leadership di Chris Robshaw. Prendiamo Inghilterra-Galles a Twickenham, sabato scorso: la squadra sembrava in controllo ma alla lunga i dragoni, che a vincere certi incontri hanno imparato per davvero, l’hanno spuntata, con quel carattere che partite come quella te le portano a casa.
Dall’altra parte c’è l’Australia, che pur essendo terza forza del ranking di World Rugby paradossalmente è libera da pressioni. Certo uscire al primo turno sarebbe rumoroso (ed esporrebbe il rugby a XV ai venti di Aussie Rules ed NRL, codici attualmente più forti a livello di club come seguito), ma la crisi degli ultimi anni aveva abbassato le aspettative, visto anche il girone di ferro. Quella con la Red Rose non è mai una gara qualunque e sinora l’impatto sul torneo iridato è stato eccellente: l’Uruguay è poca cosa ma con le Figi è arrivato anche il punto di bonus (a differenza di quanto accaduto al Galles: occhio al 10 ottobre dovesse perdere oggi) e Michael Cheika dà l’impressione di saperla lunga. Coinvolta anche l’Australia dei social network, divertita dalla rivalità con i vecchi “padroni” e dal modo in cui Joe Marler partecipa alla mischia: #ScrumStraightJoe è un portento su Twitter.
Immaginate che occasione per gli australiani, allora: battere l’Inghilterra a casa sua e farla fuori dal mondiale doveva vincere, non solo organizzare. Siate o no fan del rugby, è la partita dell’anno, sinora: ne verranno delle altre (magari la finale), ma meglio di così proprio non si può andare.