Nel nome di Kalinic

Non è da tutti andare a giocare per la prima volta a San Siro contro l’Inter capolista, e venir via portandosi a casa il pallone, dopo una fragorosa tripletta, per di più accompagnata da un rigore provocato e da un’espulsione sobillata. Dopo un’estate trascorsa ad osservare sui giornali una sfilata di attaccanti da rincorrere, acquistare e celebrare, domenica sera gli occhi della serie A erano tutti per il centravanti croato della Fiorentina, Nikola Kalinic. Uno che al momento dell’acquisto dal Dnipro, magari molti pensavano fosse russo.

In sole 6 giornate, Kalinic ha già allontanato il fantasma del fantasma di Mario Gomez, eguagliandone il record stagionale di marcature. Non che ci volesse molto, ma il dato interessante da accompagnare a questa osservazione è che Kalinic ha ribaltato un approccio prestazionale che troppo spesso accompagna gli attaccanti di fama: “Bisogna mettere il nostro fenomeno in grado di esprimersi”. Suona così il ritornello tante volte ascoltato da procuratori e commentatori. Punto di vista spesso ripetuto per quanto riguardava Gomez a Firenze, ma anche altrove, ad esempio oggi per Dzeko in quel di Roma. L’attaccante come finalizzator cortese degli sforzi profusi da terzini che salgono, ali che crossano, fantasisti che filtrano, tutto a beneficio dello stoccatore ultimo, neanche troppo necessitato a spostarsi dalla propria zona di caccia.

Il gioco di Kalinic invece sembra appartenere ad un’altra scuola. Attaccante organico e funzionale, Kalinic si sbatte per recuperare palloni di testa, fare da sponda ai compagni, attaccare gli spazi, compiere efficaci movimenti senza palla per portare via l’uomo, e, ciò che gli è riuscito bene a San Siro, seguire l’azione per farsi trovare nella posizione adatta a concluderla. Con la stessa logica, sono state procurate anche le espulsioni di Rodrigo e Miranda.

Se nel gioco aereo “conto terzi” potrebbero sovvenire gli esempi di Kennet Andersson o Thomas Skuhravy, i movimenti in campo sembrano evocare ripartenze e transizioni proprie degli attaccanti visti nel Porto di Mourinho e, vista la presenza di Sousa sulla panchina viola, non sarebbe sorprendente. In tal senso, Kalinic risponderebbe all’identikit di un attaccante al servizio della squadra, che rientra nella coralità di gioco, sa muoversi su diverse linee dell’azione e se ne ha l’occasione, segna.

Per quanto sinora visto, Kalinic alle doti tattiche e all’intelligenza calcistica aggiunge anche un buon bagaglio tecnico, soprattutto nello scambio breve, e una preparazione atletica curata, che gli consente di stremarsi ad ogni gara, arrivando al triplice fischio, dopo aver compiuto uno sforzo mediamente ben superiore a quello dei suoi colleghi di reparto.

A ventisette anni, dopo buoni trascorsi anche in Nazionale, Kalinic è arrivato nel nostro campionato nella fase di maturità calcistica e forse anche i nostri attaccanti avrebbero qualcosa da imparare dal suo gioco. E intanto, nel segno di Kalinic, la Fiorentina si ritrova in testa dopo diciassette anni dall’ultima volta, quando in campo, là davanti, andavano Batistuta ed Edmundo.

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Paolo Chichierchia