Una semplice battuta d’arresto non poteva scalfire un campionato fin a questo momento strepitoso. Se la vittoria di Vettel a Singapore aveva gettato qualche dubbio sull’affidabilità delle Mercedes e sulla loro relativa facilità di monopolizzare il campionato, il Giappone ci riconsegna un duo Hamilton-Rosberg sempre più padrone delle scene e arbitro del proprio destino.
Stavolta la Ferrari non è riuscita a spezzare il duopolio Mercedes e, come spesso è accaduto quest’anno, si è dovuta accontentare del terzo gradino del podio. Peccato per il tedesco – entrato già nei cuori dei tifosi della Rossa – perché la sua gara è stata ben congegnata a livello tattico, ma segnata dal sorpasso di Rosberg in chiave pit stop. La Ferrari ha comunque mostrato di essere, allo stato attuale delle cose, l’unica vera alternativa alle Mercedes: un buon viatico per il futuro, certo, ma il gap continua a essere davvero troppo ampio per essere colmato in tempi brevi.
Le lotte per il secondo posto non hanno fatto altro che premiare Hamilton che, come una lepre, è fuggito via velocemente e non ha mai mollato la leadership: alla fine sono proprio i distacchi rifilati agli altri piloti che testimoniano l’assoluto dominio dell’inglese. Hamilton non si è limitato a vincere, ha risposto con padronanza e sicurezza alla pole ottenuta da Rosberg e ha annientato la concorrenza. Queste sono le condizioni in cui il campione del mondo si esalta, con cui dimostra di essere il fuoriclasse che è.
Se la Mercedes se la ride e la Ferrari, tutto sommato,non piange, le altre scuderie hanno molto di cui lamentarsi. Gli improperi di Alonso («GP2 engine, GP2!») sono diventati subito un caso e stanno a dimostrare la frustrazione di un pilota nei confronti della propria squadra: le McLaren continuano a essere dei fantasmi che girovagano senza meta per i circuiti di tutto il Mondiale, ferendo l’orgoglio – già ferito, peraltro – di un campione come l’asturiano. Undici punti in classifica – nemmeno uno di media – sono troppo pochi per chi si era sfilato dalla Ferrari per trovare una macchina più competitiva. E chissà che, nella mente di Alonso, non ci siano “rimpianti rossi”.