Figli di un dieci minore: Benny Carbone, fantasista da esportazione

Classe ’71, calabrese d’origine, Benito Carbone – per tutti Benny – fu uno dei tanti prodotti del vivaio del Torino. Così ne parlò lo storico allenatore delle giovanili granata, Sergio Vatta:
“Al Filadelfia si presenta un ragazzino e mi dice: “’Arrivo da Bagnara Calabra, abito da mia sorella e voglio giocare nel Torino’. ‘Sei troppo piccolo per noi’, gli dissi, così lo mandai al Victoria Ivest, una nostra succursale. Mi richiamarono: ‘questo piccoletto è un fenomeno’. Era Benny Carbone”.

Esordì ancora minorenne in serie A, con la maglia del Torino, nel 1989. Nella stagione successiva, Carbone seguì il Toro in B, collezionando qualche altra presenza. Di lì in poi, Benny partirà all’inseguimento del pallone, seguendo un destino itinerante senza sosta.
Dapprima arrivò la gavetta della Serie B: un anno a Reggio Calabria (ben 31 partite e 5 gol), un altro a Caserta (28 partite e 6 reti) e infine Ascoli (28 presenze e 6 reti).
Finalmente nel 1993, venne ritenuto ritenuto pronto per il Toro in A e andò a far coppia con Silenzi, di cui divenne l’uomo assist, levandosi però anche la soddisfazione dei primi tre gol nella massima serie.

Nel 1994, visse la sua più intensa emozione azzurra, laureandosi campione d’Europa Under 21 con l’Italia di Maldini. Le fasi finali si disputarono in Francia e in semifinale l’Italia superò ai rigori i padroni di casa. Fu proprio Carbone a trasformare il rigore decisivo, dopo una parata di Toldo su penalty di Makelele. Di quella squadra facevano parte anche Cannavaro, Panucci, Galante, Inzaghi e Vieri.

Dopo questa trafila giovanile, il talento di Benny diventò noto a tutti. Fisicamente minuto, alto 1.68 per 70 kg, ma capace di sopperire con tanto dinamismo, ottime doti tecniche, un dribbling sgusciante e il gusto per le finte spiazzanti. Buon tiratore di calci piazzati, era il classico fantasista in grado di andare in appoggio alle punte ma anche di trovare soluzioni personali.
Sono queste le qualità che nella stagione successiva lo portarono a iscriversi nella folta schiera degli eredi. Erede di Zola e per conseguenza indiretta, erede di Maradona: la maglia numero 10 del Napoli passò sulle sue spalle. Al debutto, proprio contro la sua Reggina, si presentò al San Paolo con una bella rete in dribbling al 90°. Giocò con continuità e mise a segno 4 gol in campionato e 3 in Coppa UEFA.

Ma il viaggio di Benny Carbone non era destinato a fermarsi: ancora una volta, cambiò maglia e a lui si interessò Massimo Moratti, che nel febbraio 1995 aveva appena acquistato ufficialmente l’Inter. Con lui arrivò in nerazzurro anche un altro giovane giocatore argentino: Javier Zanetti. L’Inter era un cantiere eterogeneo dove erano in corso lavori destinati a durare a lungo. In quella squadra militavano il giovane Roberto Carlos e Paul Ince, Fontolan e Fresi. Ma per Benny Carbone, come per l’intera squadra, la stagione fu deludente
A metà degli anni ’90, il calcio italiano stava cambiando, il 4-4-2 sacchiano attecchiva in ogni organico e per i fantasisti era sempre più dura corrispondere ai dettami tattici, imposti da schemi nati anni prima per esaltare la libertà del gioco e poi sedimentatisi come claustrofobici per i non allineati. Anche Gianfranco Zola, in rotta con il proprio tecnico Ancelotti, andò a giocare nel calcio inglese. Stessa scelta effettuata da Paolo Di Canio (al Celtic). E, per l’appunto, da Benny Carbone.

Nel 1996, a 25 anni, il piccolo fantasista calabrese iniziò una seconda fase della propria carriera, che durerà ben 6 anni. Per tre stagioni indosserà la maglia dello Sheffield Wednesday, collezionando 96 presenze e 25 reti. Sono anni in cui il talento di Benny viene apprezzato dai tifosi, che nella stagione 1998-99, in cui risulta miglior marcatore dei suoi, lo votarono come Player of the Year. Allo Sheffield giocò insieme a Di Canio, tuttavia la sua integrazione con l’ambiente fu meno solida di quella dell’ex laziale. Pare che in quanto astemio, Carbone rifiutasse costantemente gli inviti al pub dei compagni dei tifosi, fino al punto da logorare il rapporto.
Partirà quindi una nuova avventura, con la maglia dell’Aston Villa, dove disputò 24 partite, segnando 4 gol. Di questa avventura, rimane il ricordo di una pregevole rete, messa a segno da 40 metri contro il Leeds,in Fa Cup.
Nemmeno stavolta, Carbone si sarebbe fermato. Passò al Bradford City, poi al Derby County e infine, nel gennaio 2002 al Middlesbrough.

Nella stagione 2002 – 2003, rientrò in Italia e iniziò la terza fase della sua carriera. Al ritorno in serie A disputò 22 partite con la maglia del Como. Dopo la retrocessione dei lariani, approdò a Parma, alla corte di Prandelli, dove ancora una volta riuscì a meritarsi il proprio spazio e a farsi apprezzare, mettendo a segno 4 reti in19 partite.
A 35 anni, accettò di tornare in Calabria, e si trasferì al Catanzaro, avvicinandosi a casa. Ma è solo un transito passeggero, perché le valigie di Carbone viaggeranno ancora, verso Vicenza prima e addirittura a Sidney poi, ben prima di Del Piero. Le ultime tre stagioni di carriera le spese a Pavia, dove disputò ancora 80 partite, gonfiando la rete 27 volte.
A differenza di tanti colleghi parimenti dotati, Carbone ha sempre scelto di giocare, raramente si è accontentato di essere il vice di qualcuno. Probabilmente, Benny ha sempre preferito esprimere la propria fantasia sul campo, anche a costo di non fermarsi mai troppo da nessuna parte, piuttosto che confinarla in panchina. Almeno fino a quando, senza soluzione di continuità, a Pavia è cominciata la sua carriera da allenatore.