La prova del nove
Dopo una partenza sprint come non avveniva da moltissimo tempo, all’Inter di Mancini tocca il compito più difficile: confermarsi ottenendo i tre punti contro il Verona e, soprattutto, resistere alle tante pressioni che giungono dall’esterno. Mentre in estate il clima era piuttosto pesante, almeno sulla carta stampata, con titoloni che già preannunciavano all’ennesimo fallimento, adesso sembra essersi tutto meravigliosamente ribaltato: per cui leggere di “Inter favorita per lo scudetto” sembra quasi la normalità, quando invece tutto questo non è assolutamente vero. E non credo serva nemmeno soffermarsi sul perché. Mai farsi trascinare dalle emozioni in uno sport come il calcio, se non esclusivamente a caldo: il dato veramente ben augurante di questa Inter riguarda la difesa, passata dall’essere puntualmente sul banco degli imputati a certezza inossidabile, una specie di fortino protetto da un centrocampo muscolare. E finalmente anche Handanovič, trattato per la prima volta o quasi come un portiere da grande squadre, cioè costretto a uno o massimo due parate a partita, sta dimostrando di non essere soltanto un abilissimo pararigori.
Almeno in difesa, quindi, la situazione sembra essere rosea. Ma in attacco vale lo stesso ragionamento? Sicuramente no, seppur vi siano molti alibi per Mancini. Innanzitutto Perišić e Ljajić hanno iniziato la propria avventura effettiva all’Inter soltanto qualche allenamento prima del derby, cioè dieci giorni fa, ed è quindi ovvio che fatichino a trovarsi a memoria. Inoltre il trascinatore della scorsa stagione, Mauro Icardi, è anche reduce da un infortunio che ha condizionato l’inizio della stagione; analizzando i gol, però, non si può non sottolineare come a risolvere le partite siano stati più i gesti del campione (vedi Jovetic contro l’Atalanta o proprio l’argentino nell’ultima di campionato a Verona) a fare la differenza, e non il collettivo.
Questo continuerà ad andare bene sinché si muoverà la classifica, ma come reagirebbero il gruppo e l’ambiente dopo un paio di pareggi, magari strappati in extremis? Il rischio è che anche le certezze difensive, sotto pressione, vengano meno c’è e sono sicuro che già adesso Roberto Mancini sta cercando di prevenire la situazione. Per come è impostata la squadra, tra l’altro, credo che gli obiettivi possano essere raggiunti anche adottando lo schema “difendiamoci bene, che poi tanto il modo di farne uno lo troviamo” perché in attacco, al netto degli infortuni, il talento per fare bene c’è. Il punto è capire quali siano davvero gli obiettivi realistici di questa squadra; ipotizzo un terzo posto come massima ambizione, ma se all’Inter hanno aspettative più grandi, forse, questo sistema di gioco può non bastare. Non può bastare nonostante Jovetic si sia presentato come meglio non potesse, Icardi si sia sbloccato quasi subito dopo l’infortunio, Palacio sia in calando ma fa un lavoro sporco difficilmente rimpiazzabile, Perisic debba ancora trovare la propria collocazione ma ha già dimostrato di avere le qualità per essere un grande esterno; l’unico ancora non classificabile è Ljajic, non impiegato da Mancini e probabile titolare nella sfida di stasera contro l’Hellas.
Chi dovrà fare la differenza? Il nove, il capitano, Mauro Icardi. Chiamatelo come volete, ma se il presidente e l’allenatore ti affidano le chiavi dell’attacco, rinnovandoti il contratto in estate, affidandoti la fascia e rifiutando per te offerte pazzesche in sede di mercato è ovvio che si aspettino qualcosa in più del semplice compitino. Perché sino adesso, nell’Inter, Icardi ha praticamente giocato solamente per posizioni dalla quinta piazza in giù, quindi con un tipo di pressione decisamente diversa da quella attuale, nel caso i nerazzurri confermassero questo periodo di forma per un periodo di tempo più prolungato. Come farlo? I gol ormai non bastano più, è palese che uno come lui il gol lo abbia nel sangue: serve dare più varietà al gioco offensivo, facilitando gli inserimenti e venendo spesso incontro alla palla, segnando qualche gol di testa in più, trovando magari più feeling con l’assist e il passaggio chiave per i compagni. E’ chiaro che non sia un percorso facile, specie se sulla carta d’identità c’è scritto 22 anni, ma chi meglio di Roberto Mancini può insegnarti i trucchi e i segreti di un buon attaccante?