Un mondiale, ma come?

Macchina del tempo, viaggio temporale. Immaginiamo di tornare indietro di cinquant’anni, entrare nella club house di qualche squadra di rugby e raccontare a tifosi e presenti ciò che sta per accadere a Londra e in tutta l’Inghilterra. Ci prenderebbero per matti, come minimo: un mondiale, ma come?

Strano a dirsi e a realizzarsi, per uno sport sì globale in certi stati eppure non professionistico. Ah, davvero? C’è il professionismo? Altra bugia, ci metto la mano sul fuoco: ci mancherebbe altro, figuriamoci. Quegli altri nel nord dell’Inghilterra, toccando Francia, Nuova Zelanda in zona Auckland, Queensland e Nuovo Galles del Sud, si sono inventati un nuovo codice e un nuovo sport, per poter essere pagati per giocare: e ora ci stai dicendo che siamo come “loro”? E che magari i campioni passano dall’altro codice al nostro, e non viceversa?

Così è, se ci credete: da 20 anni a questa parte il rugby union, splendido gioco di squadra nato in Inghilterra nel 1823 e diffuso globalmente su parte dell’Europa e dell’ex Impero Britannico, non solo è professionistico, ma è fenomeno di massa. Gli All Blacks sono non solo leggenda dello sport ma anche marchio mondiale: tutti sanno chi sono, anche chi non sa la differenza tra rugby e football americano, anche chi di fronte a una palla ovale storce il naso e chiede dove siano le porte, i calci d’angolo e i portieri.

Ecco: pregio di questi 20 anni di professionismo, passando per 28 di Coppa del Mondo, è aver innovato conservando la tradizione, modernizzando senza snaturare troppo. In soldoni: fisico e modus vivendi dei rugbisti d’élite sono cambiati eppure la domenica al campo si respira l’atmosfera di tempo, i campionati nazionali assomigliano a quelli di altri sport eppure il Sei Nazioni (ah, sì, ci siamo aggiunti noi italiani) resiste e i test match sono test match, mica amichevoli come quelle del calcio.

Piano piano, il mondo dell’ovale ha fatto passi in avanti economicamente ma forse ha perso credibilità di fronte ai nostalgici. Certamente YouTube, con quei bellissimi filmati tratti dalle videocassette di una volta, un viaggio del tempo ce lo fa fare davvero: nel mega mondiale di quest’anno tra Twickenham, l’Olympic Stadium, Cardiff e i tanti stadi di Premier League e Championship, tocchiamo con mano l’eredità di questa nobile disciplina e della sua vecchia veste.

Nei musei e nelle bacheche che i tanti tifosi (anche italiani) visiteranno tra una partita e l’altra, i nomi dei capitani di un tempo faranno compagnia a quelli di ora: è il bello della Rugby World Cup, evento sportivo dell’anno o certamente, almeno, del Vecchio Continente: buon mondiale a tutti, al pub come su internet, in pay tv come in pay per view, a casa come allo stadio, in Italia come in Inghilterra.

Che vinca il migliore, a partire da stasera e dalla sfida inaugurale a Londra tra l’Inghilterra padrona di casa e i figiani vogliosi di stupire.

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Matteo Portoghese