Era la finale più attesa, quella pronosticata a inizio torneo e auspicata per quanto visto sul campo nelle due settimane: anche l’esito dell’incontro ha seguito la logica del pronostico perchè a conquistare gli US Open 2015 è stato il n.1 del mondo Novak Djokovic (6-4, 5-7, 6-4, 6-4).
Rammarico per Roger Federer, che aveva raggiunto questa finale in condizioni di forma eccellenti e mai come questa volta sembrava pronto per tornare a battere il serbo sulla distanza dei 5 set; il campo ha invece emesso lo stesso verdetto della finale di Wimbledon, con il serbo troppo solido mentalmente e atleticamente per lasciarsi sorprendere, nonostante un pubblico palesemente schierato per lo svizzero.
Anche le ore che hanno preceduto l’incontro riportano alla mente il torneo londinese: l’orario di inizio è stato posticipato per via di una violenta pioggia, i cui effetti sono stati annullati con grande solerzia dalle macchine “asciugatutto” di Flushing Meadows. Con 3 ore di ritardo sulla tabella di marcia, quando in Italia è l’1 inoltrata, il match comincia.
L’inizio è balbettante per i servizi: Federer deve annullare tre palle break nel primo gioco, ci riesce con fatica ma deve capitolare nel turno di battuta successivo. Lo svizzero appare contratto, ma Djokovic non è da meno: restituisce subito il break conquistato dopo un brutto scivolone per il quale non riporta conseguenze. 2-2. Il pubblico sottolinea ogni punto di Federer con un boato, ma il serbo – ormai entrato in trance agonistica – non si lascia intimorire e breakka ancora Federer portandosi sul 4-3: quando va a servire sul 5-4 non si concede distrazioni e chiude 6-4 il primo parziale.
Il secondo set è ancora all’insegno dell’equilibrio: Djokovic lo alimenta annullando quattro palle break nel secondo gioco. Il serbo è ora calato con il servizio, ma nonostante la pressione del pubblico e del suo avversario tiene con i denti fino al 5-5, mentre Federer sembra in spinta massima e ha assoluto bisogno di conquistare questo parziale. Sul 6-5 il n.1 da una mano allo svizzero, concedendogli due set point: la seconda occasione è quella buona per Federer che attaccando con coraggio sul rovescio di Nole riporta l’incontro in parità, spinto dall’ovazione di un Arthur Ashe in visibilio.
Adesso per Djokovic c’è il rischio di un crollo psicologico, ma il campione di Belgrado non solo non si lascia intimorire dalle circostanze, ma piazza il break che gli vale il 2-1. Nel game successivo però è ancora il servizio a tradirlo: Federer fa 2-2 approfittando di un doppio fallo figlio di una rinnovata tensione. Il serbo continua a non trovare continuità con la prima di servizio e si trova in affanno anche sul 4-3: Federer attacca all’arma bianca, arriva due volte a palla break ma in questo game la difesa di Djokovic sembra inscalfibile e si giunge al 4-4. Le occasioni fallite dallo svizzero iniziano a essere tante, e pesano ancora di più quando Novak opera il break chirurgico che lo porta a servire per il set. Sul 5-4 Federer mette in campo il coraggio del campione, conquistandosi altre due palle break: qui il n.1 del mondo legittima il suo status e vince quattro punti consecutivi che gli valgono il set (6-4).
La sensazione è che Nole ora possa prendere il largo: imprimendo un ritmo sempre crescente da fondocampo si porta sul 3-1. Il tennista serbo dimostra un impressionante cinismo sulle palle break, al contrario di Federer che continua a fallire occasioni come sul 3-2. Djokovic adesso sente vicino il traguardo, e implacabile come è stato sin dal primo game breakka Federer per la sesta volta nell’incontro (lo svizzero nel corso del torneo aveva subito solo due break): ora conduce 5-2 e il titolo è a un passo.
Al momento di chiudere, però, Nole accusa un calo di tensione: lo svizzero ne approfitta e riesce finalmente a togliere il servizio al suo avversario, quando però l’incontro sembra ormai compromesso in virtù del break di vantaggio di Djokovic (5-3).
Il pubblico prova a spingere Federer verso una rimonta che avrebbe dell’incredibile, e quando Djokovic va a servire per il titolo sul 5-4 arrivano persino gli – inopportuni – fischi tra prima seconda palla di servizio. Roger intuisce l’opportunità, continua ad attaccare senza sosta e vola con gli applausi dell’Arthur Ashe: il serbo non tradisce un emozione, annulla una, due, tre palle break, poi richiama il servizio dal dimenticatoio e sfrutta il primo match point a sua disposizione. Esultanza composta, nessun gesto di stizza nei confronti del pubblico, lo Slam numero 10 della sua ormai sfavillante carriera – il secondo qui a New York – vale più di una sterile polemica.
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