Signore e signori, quella di ieri è stata una giornata storica e indimenticabile per tutto lo sport italiano.
Flavia Pennetta ha coronato la sua carriera con la vittoria più bella, giunta in terra statunitense dopo un torneo iniziato come testa di serie numero 26 del seeding, cioè con – virtualmente – altre venticinque atlete più accreditate di lei alla vittoria finale. Eppure Flavia (la nostra prima F di ieri, per forza di cose) ha lasciato per strada appena tre set e per ben due volte il set perso è stato il primo – con la Cetkovská e con la Kvitová – ma la Pennetta ha saputo costruire anche grazie a queste due grandi rimonte il suo trionfo.
E se contro la Stosur si pensava che se la potesse giocare (senza esternarlo a voce troppo alta, magari), lo stesso non si può proprio dire relativamente ai quarti e alla semifinale: la stessa tennista brindisina aveva candidamente ammesso che, sulla carta, sia la Kvitová sia la Halep erano le favorite della vigilia, specialmente la seconda, attuale numero due del mondo. Ora sappiamo tutti com’è andata a finire, con la nostra Flavia in possesso del trofeo degli US Open dopo aver sconfitto l’amica e rivale Roberta Vinci, anche lei protagonista di questo straordinario successo azzurro in quanto mattatrice della beniamina di casa Serena Williams, sulla strada della quale le azzurre sembravano solo un agnello grasso da immolare sull’altare del Grande Slam. E invece…
La “F” di Flavia, peraltro, porta inevitabilmente con sé anche altre tre F, ossia quella di Fabio (Fognini), suo attuale compagno di vita, quella di “figlio”, ovviamente con Fabio, probabilmente il sogno più bello che la Pennetta ha ancora nella sua wishlist, e quella di “fine”, che è il sostantivo che non ci aspettavamo durante la premiazione a Flushing Meadows. Una specie di fulmine (un’altra F, tanto per cambiare) a ciel sereno, proprio nel giorno più bello, ancor prima dei festeggiamenti per il successo più inatteso ma anche più di prestigio. Con Flavia si ritirerà un bel pezzo di storia del tennis italiano perché la brindisina è, se non la migliore, sicuramente una delle più grandi tenniste tricolori di tutti i tempi, la prima a entrare nella top ten della classifica WTA nell’era Open (nell’agosto del 2009, ormai più di sei anni fa), non proprio bruscolini. Quindici anni di professionismo, uno slam in singolo, uno slam in doppio e un totale di ventotto tornei conquistati: un palmarès di tutto rispetto che – ci auguriamo – può avere ancora una coda finale nei mesi che ci separano dal primo gennaio 2016, primo giorno in cui Flavia Pennetta non sarà più da considerare una tennista in attività.
Accanto all’iniziale di Flavia, oggi, non possiamo non giustapporre anche un’altra F, quella di Fabio Aru, che oggi – una volta sbrigata la formalità dell’ultima tappa – si laurea ufficialmente matador della Vuelta a España, la terza gara a tappe più prestigiosa del mondo. Un 2015 da incorniciare anche per il ciclista sardo, dunque, che dopo il secondo posto al Giro centra così il più grande successo della sua giovane carriera grazie in particolare all’impresa di ieri, un’autentica rimonta d’altri tempi che ha consentito al Cavaliere dei Quattro Mori di recuperare su un Dumoulin “sgonfio” il ritardo che aveva maturato e di riprendersi la testa della corsa (da segnalare un eroico Landa, eccezionale nel supporto dato al suo capitano).
Infine, rimanendo in Spagna ma stavolta senza alcun “gancio” azzurro, il nostro fil rouge fricativo ci riconduce alla F di “figlio”, inteso come Mateo Messi, il secondogenito di papà Lionel, che ieri sera, nonostante non facesse parte dell’undici iniziale scelto da Luis Enrique per ovvi motivi, s’è tolto lo sfizio di subentrare nella ripresa e decidere la sfida del Calderón contro l’Atlético Madrid di Simeone (andato a segno per primo con una rete dell’ennesima F della nostra storia, quella di Fernando Torres). Dopo un successo tanto intimo, personale e straordinario come solo un neonato può essere, la Pulga ha voluto concedersi anche i tre punti come corollario e primo omaggio al nuovo nato di casa sua, in una notte dove la dedica dell’esultanza non è mai stata così scontata (e va benone così).