Figli di un dieci minore: Beniamino Vignola, il vice di Platini
Allo Juventus Museum, tra le varie memorabilia della storia bianconera, fa mostra di sé una maglia gialla con il numero 7, appartenuta al giocatore bianconero che risultò decisivo, la notte del 16 maggio 1984, al Sankt Jacob Park di Basilea, quando i bianconeri il secondo trofeo europeo della propria storia.
La indossava Beniamino Vignola, numero 10 naturale, ma nell’occasione cedente maglia a “Le Roy”, Michel Platini. Di quella notte, Beniamino Vignola fu assoluto protagonista.
Beniamino Vignola nacque a Verona nel 1959 e con la maglia scaligera debuttò tra i professionisti, disputando due stagioni in A e poi in B, prima di passare ad Avellino. Fu con la maglia dei lupi irpini che Vignola iniziò a farsi conoscere dal grande pubblico, come mezzala e rifinitore.
Regista dotato di un’ottima predisposizione tecnica, possedeva una classe naturale ma risultava piuttosto minuto fisicamente, sia per peso sia per altezza (soli 1.72 cm). Tra i primi a formulare un paragone illustre su di lui, ci fu Gianni Brera, che lo definì il “Nuovo Rivera”. Il decano dei giornalisti tuttavia, che non aveva mai lesinato critiche all’ “abatino” rossonero, con quella definizione intendeva illustrarne sia i talenti che i limiti fisici del numero dieci dell’Avellino.
Ma Vignola si mostrò impermeabile ai paragone, dimostrando sul campo il proprio valore. Ad Avellino trascorse tre stagioni, contribuendo da protagonista alla permanenza nella massima serie della provinciale campana. In 88 gare andò a segno 16 volte. In quella squadra di temperamento e talento giocavano anche il portiere Tacconi, il difensore Favero nonché il carneade Limido. Tutti compagni che ritroverà poi in maglia bianconera.
Nell’estate del 1983 giunse alla Juventus, dopo che anche lo stesso Platini aveva pubblicamente lodato il giocatore dell’Avellino. Evidentemente Platini, che nel centrocampo francese giostrava con talenti come Tigana e Giresse, ambedue più dotati tecnicamente che fisicamente, non disdegnava l’idea di duettare in campo con un calciatore dai piedi buoni, quale era Beniamino. Inoltre, la sua presenza gli avrebbe assicurato di poter tirare il fiato, con maggior tranquillità.
E’ lo stesso Vignola a definire l’esperienza in bianconero: “Temevo di marcire in panchina, ma riuscii lo stesso a graffiare”. Durante la stagione acquistò un minutaggio crescente, fino a diventare titolare nell’ultima parte. Nella corsa allo scudetto contro la Roma di Liedholm, apportò un contributo importante, in particolare nella sfida vinta contro la Fiorentina, quando giocò al posto di Platini, realizzando all’ultimo minuto un rigore decisivo, sia nella partita contro l’udinese. In quell’occasione, i friulani, tra le cui fila militava un certo Zico, stavano mettendo in difficoltà la Juventus, avendo rimontato dapprima il vantaggio siglato da Paolo Rossi con una rete di Massimo Mauro ed andando poi in vantaggio con il loro fuoriclasse brasiliano. Subentrato dalla panchina, Vignola mise a segno la doppietta che decise l’incontro e allontanò gli spettri aleggianti sul campo.
Fu il vero dodicesimo uomo, tanto da collezionare alla fine ben 25 presenze. Va tenuto presente che ai tempi erano permesse solo due sostituzioni e che il campionato, da 16 squadre, prevedeva 30 giornate.
Ma la vera notte di gloria per Vignola, giunse a fine stagione, nella sopra ricordata finale di Basilea, contro il Porto di Magalhaes e Jaime Pacheco. Quella volta, Vignola giocò da titolare. E fu lui, con una rete di pregevole fattura, a sbloccare il risultato dopo poco più di un quarto d’ora. Ricevuta palla in posizione centrale, appena dopo il centrocampo, Vignola si girò e scartò in velocità sul lato sinistro, giungendo fino al limite dell’area. Da lì, approfittando dello spazio preso agli avversari, lasciò partire un tiro arcuato a incrociare sul palo opposto, imparabile per tempismo e precisione. E dopo il pareggio di Sousa per il Porto, fu ancora Vignola a servire l’assist a Zibì Boniek, per il gol della vittoria bianconera.
Nella stagione successiva disputò 27 partite ma il suo contributo iniziò ad essere meno determinante. Fu presente anche lui alla sciagurata notte dell’Heysel, subentrando all’89°. Nella stessa stagione, la sua Juve vinse anche la Supercoppa UEFA.
Attratto dalla possibilità di giocare di più, nella stagione successiva lasciò la Juventus e si trasferì nella sua Verona. I gialloblu avevano appena conquistato lo scudetto e avrebbero anche disputato la Coppa dei Campioni (fu la stessa Juventus ad eliminarli). Ma la squadra di Bagnoli era stata rivoluzionata e Vignola non riuscì ad attestarsi ai livelli sperati.
Tornò alla Juve, dove però il suo minutaggio andò sempre riducendosi e concluse poi la carriera scendendo di categoria, con l’Empoli prima e infine con il Mantova.
Il suo rapporto con l’azzurro si limitò a 5 presenze e 2 reti in Under 21, ma ebbe anche la soddisfazione di far parte della Nazionale Olimpica che prese parte al torneo di Los Angeles 1984. In quella squadra, che sfiorò il bronzo, perdendo in semifinale con il Brasile e poi anche nella finale per il terzo posto contro la Jugoslavia, militavano anche Vierchowod, Bagni, Baresi e Massaro.
Finché l’equilibrio tra talento e prestanza fisica resse, Vignola riuscì a mostrare il proprio valore, poi, inevitabilmente, iniziò a percorrere la parte discendente della parabola calcistica. Una volta lasciato il calcio, uscì dall’ambiente e divenne imprenditore.
Forse Vignola avrebbe potuto giocarsi meglio alcuni snodi della carriera, in particolare il poco proficuo passaggio al Verona. E tuttavia il vice di Platini, come testimonia la maglia esposta in quel museo, ha lasciato comunque la propria traccia, come “hero, just for one day”.