Quante volte l’abbiamo sentito in telecronaca, tra Malta e Bulgaria, detto da Giovanni Trapattoni? Tante, probabilmente troppe. Il “molto bene” del Trap è già diventato virale sui social, ma — in tutta onestà — di “molto bene” in queste partite c’è stato solo il risultato: due vittorie, sei punti e primo posto nel girone.
In ottica qualificazione, la situazione è buonissima. Ma guardando più in là del nostro naso e provando a ipotizzare il cammino futuro della Nazionale a Euro 2016 (a cui ieri, tra le altre cose, si è qualificata per la prima volta nella sua storia l’Islanda ed è una cosa meravigliosa, visti i suoi 330 mila abitanti) e poi ai Mondiali in Russia nel 2018, che tipo di squadra ci dovremmo aspettare? Le sensazioni non sono buone.
L’Italia sta vivendo uno dei peggiori momenti, qualitativamente parlando, della sua storia. Se nel ventennio 1980-2000 le cose sono andate piuttosto bene, ora i nostri giocatori non sono, onestamente, tra i migliori del mondo. Per farvi capire e per rendere il senso delle cose: una volta si creavano polemiche infinite perché Mancini e Vialli restavano fuori dall’elenco dei convocati in Nazionale, perché Roberto Baggio non veniva considerato dal CT o perché Filippo Inzaghi non giocava abbastanza.
Adesso, in questa Italia che si affaccia su Euro 2016 e intravede in lontananza i Mondiali 2018, le punte convocate sono un onesto mestierante di anni 30 che gioca nel Southampton (Pellè) — bravo, per carità, ma lontanissimo dall’essere un fenomeno –, la forte ala destra della Lazio (Candreva), il talentuoso-ma-incostante trequartista del Napoli (Insigne) più la quarta punta della Juventus (Zaza), un panchinaro del Monaco (El Shaarawy), un panchinaro del Napoli (Gabbiadini), un panchinaro del Siviglia (Immobile), un brasiliano della Sampdoria (Eder) e un argentino del Palermo (Vazquez). Niente contro gli oriundi, sia chiaro, ma evidenziano — semplicemente — una carenza palese di qualità in quella zona del campo.
Per rendere ancora meglio l’idea, gli attaccanti convocati per i Mondiali 2002 erano: Del Piero, Inzaghi, Totti, Delvecchio, Montella e Vieri. Semplicemente, il cambio generazionale non c’è stato e, per il momento, non si intravede nemmeno.
Senza girarci troppo intorno: è un’Italia povera di qualità e a cui mancano i fenomeni. Gli unici veri fenomeni, Buffon e Pirlo, ormai sono a fine carriera e arriveranno arrancando alla competizione continentale, De Rossi e Marchisio sono “solo” ottimi giocatori, mentre Verratti è l’unico a cui aggrapparsi. Ci sarebbe Balotelli, probabilmente quello a cui Madre Natura ha donato più qualità calcistiche, ma è mentalmente instabile.
Guardiamo in faccia la realtà e ammettiamolo: l’Italia non è e non sarà nel prossimo futuro tra le nazionali più forti del mondo e agli Europei, se tutto dovesse andare bene a ottobre, non ci arriveremo come favoriti.
Iniziamo ad abituarci all’idea fin da subito, in modo da placare i probabili isterismi in caso di fallimento. A furia di essere “una nazione di CT” siamo rimasti senza giocatori.