Figli di un dieci minore: Massimo Orlando, l’erede di Baggio

Parte con questa puntata una nuova rubrica dedicata a quei numeri dieci del calcio italiano che si sono accesi ad intermittenza, magari illuminando a festa palcoscenici di periferia o ribalte troppo pretenziose, senza poi riuscire mai a realizzare un definitivo salto di qualità: fantasisti di provincia, registi ingabbiati nei propri limiti, talenti cristallini su fisici da osteria, teste calde dai piedi dolci, artisti dello sperpero, stelle sfortunate e fragili fuoriclasse, magari presentati come il “Il Nuovo Qualcuno Più Famoso”, tutti orbitanti fuori dalle classifiche dei “best”, ma tutti comunque artefici della magia della “dieci”, la maglia tanto cara a chi ama il calcio.

Alla vigilia dell’estate mondiale del 1990, un trasferimento storico scuote la Serie A. Dopo 5 stagioni a Firenze, Roberto Baggio viene acquistato dalla Juventus. Il 18 maggio 1990, quando si consacra la ferale notizia, i tifosi viola sono in rivolta, assaltano Coverciano e si rende necessario l’intervento della polizia. A fine giornata, il bollettino registrò undici feriti, ottanta fermi e nove arresti.
Quattro mesi dopo, un altro giocatore compì il percorso inverso: Massimo Orlando, ex fantasista della Reggina, classe ’71, originario di Conegliano. Appena ingaggiato dalla Juventus, fu ceduto in prestito alla Fiorentina, che poi avrebbe provveduto a riscattarlo. A diciannove anni, Orlando aveva già alle spalle due stagioni giocate da protagonista in serie B, con la maglia della Reggina di Nevio Scala. Ventidue presenze e un gol nella prima, quando solo uno spareggio perso ai rigori con la Cremonese privò gli amaranto della serie A, ben 35 presenze, con 2 reti, nella seconda.

Era la Fiorentina dell’allenatore brasiliano Sebastião Lazaroni, in campo andava una composita pattuglia di giocatori, tra cui figuravano Dunga e Iachini, Borgonovo e Lacatus, Nappi, Fuser, Zironelli e Kubik, e l’ambiente era alla ricerca di nuovi eroi. L’11 novembre 1990, a pochi giorni dal suo arrivo in viola, Orlando debutta contro il Genoa, subentrando ad Alberto di Chiara al 63’. Passa un quarto d’ora e dopo aver superato in velocità un avversario, con un bel sinistro teso e diagonale dal limite, preciso come un colpo da biliardo a incrociare sul palo opposto, il Giovane Orlando va in rete. Firenze esulta e dalla Fiesole parte un coro: “Orlando meglio di Baggio”.

Di lui, Lazaroni diceva: “E’ un talento pronto a esplodere. I piedi ce l’ha buoni, il fiato non gli manca”. Tecnicamente è un dieci, orientato a giocare alle spalle di un centravanti classico, ma nel corso della carriera non disdegnerà di svariare come esterno sulla sinistra o assumere un ruolo al centro del campo, da interno di fatica. Polmoni forti e passo veloce, tecnica e buona capacità di dribbling sono i talenti della sua dote, insieme a una buona dose di temperamento e a qualche esuberanza giovanile.

La prima stagione di Massimo Orlando è ottima: a nemmeno vent’anni, colleziona 25 presenze ed 8 gol in serie A. Nella stagione successiva collezionerà altre 28 presenze e sole 3 reti, ma caratterialmente soffrirà la presenza in rosa di un altro fantasista, il barese Pietro Maiellaro. Intanto in viola è arrivato un altro giovane, destinato ad attirare su di sé la vera eredità romantica di Baggio nel cuore dei tifosi: Gabriel Omar Batistuta.

Contemporaneamente, nel 1992 Orlando fa parte della rosa degli azzurri che vincerà il Campionato di calcio europeo Under-21, sotto la guida di Cesare Maldini. Era la generazione di Albertini e Dino Baggio.
Nella tempestosa stagione ’92-93’, la Fiorentina di Effenberg e Brian Laudrup, Batistuta ed Orlando, precipiterà incredibilmente in serie B ma il rendimento di Orlando è comunque giudicato superiore a quello del resto della squadra, per impegno e dedizione.
Sono gli anni un cui Arrigo Sacchi sta forgiando la Nazionale che parteciperà a USA ’94. Per applicare i dettami del suo gioco a zona, Sacchi sta ricercando i giocatori più adatti alle proprie esigenze e la selezione coinvolge un numero di giocatori insolitamente ampio, rispetto alle abitudini dei commissari precedenti, avvezzi a puntare su gruppi ristretti e compatti. Massimo Orlando aspetta una chiamata di Sacchi: nel ruolo di esterno sinistro, il CT ha il fido Alberigo Evani e prova ad adattare Antonio Conte. Una serie di infortuni e i rovesci di campionato condizionano la sorte di Orlando e alla fine il treno della Nazionale gli passa accanto, senza fermarsi.

Nella stagione successiva alla retrocessione, darà il suo contributo per il ritorno immediato in serie A. Nel ’94-’95 passa al Milan, ma chiuso da una concorrenza foltissima e condizionato da difficoltà fisiche, collezionerà un minutaggio residuale e praticamente non vedrà campo.
Torna a Firenze, e ricomincia a mostrare sprazzi del suo talento. Nella Fiorentina di Batistuta e Rui Costa, Orlando gioca bene e corre molto, di nuovo sembra poter entrare nel giro della Nazionale. Suo il gol che chiude la partita sullo 0-2, nella vittoriosa trasferta a Napoli. Ma nell’incontro contro il Bari, il 30 ottobre 1995, una scivolata in fase di copertura gli è fatale.”Ha una grave distorsione al ginocchio sinistro con interessamento del legamento crociato anteriore”, annuncia il Professor Galanti. La stagione di Orlando si chiude lì. I Viola, allenati da Ranieri – tecnico con cui Orlando racconterà di non aver avuto un buon feeling – vinceranno la Coppa Italia e, poco dopo, la Supercoppa italiana. Saranno questi gli allori del suo palmares, pur vissuto più tra infermeria e panchina che in campo.

Orlando rientra nella stagione ’96-’97, ma collezionerà solo 16 presenze, senza più riuscire a tornare agli stessi livelli tecnici e atletici. Malgrado un inizio assai precoce, a soli 26 anni la parte migliore della carriera si già consumata, insieme alla sua integrità fisica. Seguiranno malinconiche stagioni prima a Bergamo e poi nelle serie minori, a Pistoia, alla ricerca di una rinascita che non arriverà più.
Nel 2001, dopo appena 14 presenze in campo nelle ultime 5 stagioni, Massimo Orlando lascia il calcio. Vicino a lui sono passati il fantasma di Baggio e le sirene della Nazionale. Ma chi lo ha preso in pieno invece, è stata la sfortuna, bersagliandolo con sette operazioni, tra ginocchia e caviglie. Nemmeno Baggio, ha retto tanto.