Rivoluzione all’insegna della confusione

Roberto Mancini l’aveva preannunciato, anche se in pochi all’epoca erano davvero convinti che, alla fine, l’Inter avrebbe messo in atto una rivoluzione così ampia. Forse anche troppo, considerando che nel 4231 che quasi tutti i media hanno pubblicizzato come probabile formazione titolare, rispetto alla scorsa stagione sono rimasti soltanto Handanovič, Santon e Icardi, con il secondo tutt’altro che sicuro del posto. I meneghini della passata stagione erano una squadra con palesi difficoltà difensive, un attacco sterile – fatta eccezione per Icardi, nonostante anche lui abbia avuto battute d’arresto normali per la sua età – e un centrocampo molto leggero, troppo considerando che il gioco di Mancini si è sempre basato più sulla forza fisica che sulle belle giocate.
Partendo dal centrocampo, infatti, sia che gli interpreti in campo siano due o tre (nel 433), la sostanza non cambia: Kondogbia, Felipe Melo/Medel e uno tra Brozović o Guarin hanno tendenzialmente poca qualità tecnica, tanta forza fisica e pochissima capacità di verticalizzare per le punte. Paradossalmente quello con più capacità d’impostazione è Gnoukouri che, per ovvi motivi anagrafici, non può assolutamente trascinare i nerazzurri al terzo posto, obiettivo minimo stagionale per tornare a giocare quella Champions League che, nella Milano interista, manca da troppo tempo.

Considerate le reali risorse nerazzurre, di molto inferiori rispetto a quelle che in molti avevano dichiarato a inizio mercato dopo l’arrivo di Miranda, Murillo e Kondogbia, Ausilio e Fassone hanno sicuramente fatto un ottimo lavoro. Sia perché hanno accontentato le richieste dell’allenatore, che a questo punto non ha più alibi, sia perché hanno migliorato una squadra andando soltanto leggermente in passivo; una cifra parzialmente falsa, comunque, perché l’Inter ha acquistato molti giocatori con pagamenti dilazionati, prestito con diritto od obbligo di riscatto, e quindi serve un aumento delle entrate per non dover poi pentirsi di tutti questi nuovi ingressi in squadra. E l’unico modo per aumentare il fatturato, oltre a intervenire in maniera mirata sul mercato asiatico – e le relative entrate commerciali – è raggiungere la Champions League, magari senza passare dalle insidie del preliminare. Un obiettivo ambizioso e, onestamente, forse un po’ troppo ottimista considerando che la Juventus, nonostante la peggior partenza nella storia del club, ha ancora un organico superiore così come la Roma, avanti nella “griglia di partenza” della Serie A. Il tutto considerando che Napoli, Milan e Lazio venderanno cara la pelle, così come la Fiorentina.

L’incognita maggiore non è a livello di rosa, perché adesso i nerazzurri hanno una squadra cucita su misura del proprio allenatore, una difesa affidabile e un attacco (al netto degli infortuni) potenzialmente da top 3; ma cambiare 9/11 in una sola stagione non è facile, specie se quattro di questi (Perišić, Ljajić, Felipe Melo e Telles) arrivano praticamente il primo giorno di settembre. La mano dell’allenatore si dovrà vedere sin da subito, la pausa arriva nel momento giusto perché Mancini avrà una settimana di tempo in più per catechizzare i nuovi arrivi: basterà questo per ritornare a vedere una squadra solida? I dubbi sono tanti, specie perché la mano del tecnico jesino si sarebbe dovuta vedere già nella passata stagione, salvo poi fare praticamente meno punti – in media – rispetto a quelli conquistati da Mazzarri. Lì però Mancini aveva l’alibi di allenare una squadra che non era stata costruita per le sue esigenze, adesso non può più fallire; anche perché Thohir e tutto il popolo nerazzurro, probabilmente, non sopporterebbero un’altra stagione all’insegna di pareggi noiosi e sconfitte sanguinanti.

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Alessandro Lelli