Il Bel Torino
Un raggio di sole di fine agosto illumina la classifica. Come un riflettore taglia l’inquadratura e lascia risaltare il nome della squadra in vetta, in una sorta di evocazione: il Torino si scopre inaspettato capoclassifica.
E’ solo la seconda giornata, primo scampolo stagionale di campionato, ma son comunque finite le suggestioni delle amichevoli estive. Si fa sul serio e per quanto breve sia il percorso sinora, alla rilevazione del primo passaggio, la squadra di Ventura ci arriva a punteggio pieno.
All’ennesima stagione sulla panchina granata, Mister Ventura intravede nei meccanismi della sua squadra i segni di una semina pluriennale. I contorni di gioco son già definiti e l’ambiente è carico sin dal primo fischio d’avvio. Il mercato ha consegnato due gioiellini autarchici, come Zappacosta e soprattutto Baselli, primo protagonista di questo inizio, disposti a irrorare di linfa vitale il tessuto presistente. Certo, non è più tempo dei “ragazzi del Filadelfia”, cresciuti e pasciuti nella gloriosa Primavera del Toro, ma pur essendo arrivati da fuori già formati calcisticamente, i due si propongono per ravvivare il connubio felice tra impianto di gioco e attitudine combattiva che ha caratterizzato in passato la costituzione granata. E quando l’ardore atletico e l’organizzazione tattica si incontrano, ci sono le condizioni per mettere paura a chiunque.
Il genovese Ventura, allenatore di lungo corso, veterano che quasi quarant’anni fa esordiva nelle giovanili della Samp dopo aver interrotto per infortunio una carriera comunque minore, sa come si costruisce un organismo atletico compatto, capace di movenze orchestrate e di fisionomia riconoscibile. A lui non pochi calciatori devono le proprie fortune. Da principio sperimentatore e autodidatta – per sua stessa ammissione, ai tempi non aveva i soldi per andare a studiare gli olandesi, come facevano tutti – poi cultore del lavoro e degli schemi studiati in allenamento, oggi Ventura si gode il momento, sapendo che però non è frutto di una contingenza piovuta dal cielo. Son due vittorie meritate, quelle che proiettano il Torino verso l’alto, ottenute dapprima contro gli ardori del Frosinone esordiente, poi contro una Fiorentina che il calcio d’agosto aveva indicato come squadra tirata a lucido. In ambedue i casi, ottenute in rimonta. Contro la Fiorentina in particolare, i tre gol segnati in meno di quindici minuti sono arrivati quasi come sospinti dal fantasma di uno squillo di tromba, un “quarto d’ora granata” a generazioni di distanza. Il segnale non è da poco, perché oltre alla dimostrazione di carattere, è anche il segno di un’attitudine a voler chiudere le partite. Nel lungo e tatticamente logorante campionato italiano, questa mentalità può fare la differenza.
E del resto il Torino ha mostrato di avere delle fondamenta a regola d’arte. Dietro, accanto al ringiovanito Moretti, i mastini Glik e Maksimovic propugnano l’etica dei baluardi difensivi vecchi stampo – quasi a ricordare i tempi di Policano e della coppia di cerberi “Tarzan” Annoni e Pasquale Bruno. In mezzo, Baselli è chiamato a dimostrare oggi e non domani di che pasta sia fatto e per ora ci sta riuscendo molto bene (e complimenti a un ragazzo che ha scelto di andare a giocare piuttosto che sminutare scampoli sulle panchine delle presunte grandi); davanti il vecchio Quagliarella vuol continuare a fare il proprio mestiere di buttadentro, mentre sulle fasce, Avelar e Bruno Peres hanno passo e voglia per ravvivare il gioco anche nelle fasi di stanca.
Insomma, non ci sono Pulici e Grazian come negli anni ‘70 o Leo Junior come negli anni ’80 – per non risalire oltre – ma c’è una banda che sembra saper suonare musica d’orchestra. La parola al Direttore Ventura. Saprà guidare fino in fondo i propri interpreti affinché lo spartito del Bel Torino sia interpretato fino in fondo? La sfida, anche per il veterano, è iniziata. Musica, Maestro.