Speravamo in tutt’altro tipo di prestazione, diciamo la verità. No, qui non c’entrano fede e colori, qui parliamo da italiani, da gente che sperava che i biancocelesti si presentassero sul campo di gioco di Leverkusen con il coltello tra i denti, carichi e grintosi, bramosi di conservare a proprio favore un risultato prezioso, maturato all’andata. Risultato che faceva ben sperare.
Invece, non è andata così. La Lazio ha peccato di quella cosa lì che proprio non doveva mancare: la determinazione. Inutile dirlo, è stato palese: i tedeschi ci hanno creduto di più, sono entrati in campo con l’idea di sovvertire la situazione, ci sono riusciti. Tanto di cappello a loro, ma tanto da rimproverarsi in casa biancoceleste, per un qualcosa che era alla portata e che non si è riusciti ad agguantare.
Peccato. Sì, certo, per tutta quella storia del ranking, ma soprattutto peccato per il movimento calcistico italiano in sé, che oramai sta prendendo sempre più consapevolezza di una situazione in cui non è affatto semplice venirne fuori. Sia chiaro, qui nessuno è pessimista; la sconfitta biancoceleste, in sé, può starci. È il contesto in cui è maturata però che fa riflettere. Un contesto in cui solo e soltanto la Juventus, l’anno scorso, è riuscita a fare la voce grossa, in un’Europa che le ha semi-sorriso, ma che ha invece deriso tutte le altre. La Roma, l’Inter, il Milan, la Fiorentina, il Napoli, la Sampdoria qualche settimana fa, e adesso anche la Lazio. Tutte fuori, chi prima chi dopo. Tutte fuori, dimostrando grandi limiti, organizzativi e mentali, oltre che tecnici.
La sensazione? È come se qui da noi, mercato o non mercato, non fossimo “pronti” a giocare in Europa. È come se facessimo fatica a internazionalizzarci. Ed è un qualcosa, tutto ciò, in cui meglio lo si ripeta: non c’entra il calciomercato, perché qualunque campione si compri, questo assumerà la mentalità della squadra per cui gioca, e darà il giusto peso alla maglia che indossa. Ecco perché è dalle basi che bisogna partire.
Il calcio italiano, pensateci bene, non è in crisi: è semplicemente “vecchio”. Non segue i tempi, non tiene il passo dell’Europa, che invece, in larga parte, avanza, e in maniera pure veloce. L’Italia calcistica soffre, e lo fa non perché non abbia soldi a sufficienza o non abbia talento o non abbia energie; semplicemente, non ha innovazione. E quel Tavecchio lì, a capo di tutto, ne è una conferma, con tutto il pacchetto dei suoi modi di fare.
Lazio, dunque, hai perso ieri sera: peccato. Ma che anche questa sconfitta sia da monito, e un po’ da lezione. Per voltare pagina, e tornare a correre davvero, tutti, anche in Europa (non solo la Juve), c’è bisogno che si cambi registro, a cominciare da lassù, dai piani alti di un calcio abitato da gente vecchia, troppo. Gente che nonostante le tante chiacchiere non è assolutamente in grado di voltare pagina. Gente che non solo non sa risolvere problemi e situazioni, ma che evidentemente non sa neanche intuire, e poi indicare, da che parte andare.