La morte del calcio russo
C’è una questione che tiene banco ormai da anni in Russia ma che, con mio sommo dispiacere e anche un po’ di stupore, non viene mai trattata dai media occidentali, e risulta quindi essere del tutto sconosciuta agli appassionati e anche ad alcuni addetti ai lavori, ma è imprescindibile per comprendere lo svilupparsi del movimento calcistico di questo paese nelle ultime stagione: il limite sugli stranieri.
Ideato nel lontano 2008 con il nobile intento di agevolare la crescita e la maturazione dei giovani russi, evitando la formazione di squadre dense di stranieri (la cui maggior parte spesso inutili) e consegnando, di fatto, una scelta più ampia al selezionatore della nazionale. Ad oltre un lustro di distanza la valutazione di tale normativa è unanime: disastrosa; i risultati ottenuti sono stati totalmente inversi a quelli sperati, non solo non si hanno avuti benefici, ci sono state conseguenze patologiche. Irrigidimento del mercato nazionale, bivaccamento da parte dei giovani russi (l’esatto contrario della ragione per cui è stato introdotto il limite!) e squadre meno competitive, perchè costrette a farsi la guerra per una stretta cerchia di calciatori eleggibili. La nazionale, poi, ha inanellato una delusione dietro l’altra, segno che anche lì il limite non ha soddisfatto gli obiettivi che ne avevano richiesto la sua introduzione.
Una volta resi conto dell’inadeguatezza di questa regola, qual è stata la decisione della federazione calcistica russa, capitanata dal ministro dello sport Vitaly Mutko? Una sua riduzione? Il totale cancellamento? Nulla di tutto questo.
Consci del fallimento del limite sugli stranieri, i vertici del calcio russo non hanno contestato la sua esistenza, bensì la sua formulazione. Si è proceduti non solo a un mantenimento della norma, ma addirittura a un suo inasprimento. Ma non è tutto: questa maggiorazione di russi obbligatori in campo (da 4 a 5) è stata comunicata e decisa soltanto la settimana dell’inizio della stagione 2015/2016, mandando in fumo tutta la pianificazione gestionale dei vari club in sede di mercato. Una scelta avventata che potrebbe rivelarsi il colpo decisivo verso la morte del calcio russo.
Facciamo qualche esempio concreto per uscire un po’ dall’astrattezza di un concetto ormai decisamente radicato nel massimo torneo calcistico russo. Prendiamo in considerazione lo Zenit, campione in carica, che si è ritrovato costretto a cedere il secondo miglior cannoniere della scorsa stagione, il venezuelano Salomon Rondon, mai schierato nelle prime giornate proprio a causa della riduzione degli stranieri eleggibili in campo. “Il calcio russo ha tante questioni da risolvere per poter esprimere totalmente il suo potenziale” ha dichiarato Andrè Villas Boas, il principale critico della normativa, “e invece fa in modo che il vicecapocannoniere dell’anno passato sia costretto ad andarsene proprio a causa delle sue regole”. Dichiarazioni ineccepibili, soprattutto perchè confortate dai fatti: senza il limite Yusupov avrebbe mai vestito la maglia dello Zenit? Kokorin si atteggerebbe come fuoriclasse affermato e sarebbe cercato da tutti? Giocatori come Granat, Kozlov, Tarasov e Glushakov sarebbero titolari nei club moscoviti? La risposta a queste domande è, probabilmente, no.
La storia la insegna, chiudersi non serve a nulla, in qualsiasi campo. Avevamo già disquisito a suo tempo tra le pagine di questo portale telematico, nel lungo termine il protezionismo non ha mai portato risultati: e un movimento come calcistico come quello russo ha bisogno di risultati nel largo periodo, con il culmine rappresentato dai mondiali. Il limite si è rivelato inadatto non per la sua idea, condivisibile e rispettabile, ma per la sua forma, troppo drastica. Si possono attuare determinate restrizioni che agevolino il graduale inserimento dei giovani in contesti importanti, ma una normativa così drastica ha letteralmente bloccato il movimento, trascinandolo con sè sul treno della deriva.
Abbiamo detto che chiudersi in sè stessi per paura del diverso non può portare alcun vantaggio: i giovani russi, infatti, hanno approfittato del fatto che la concorrenza sia sparita, trovando quindi posti assicurati senza necessariamente faticare e impegnarsi quotidianamente per raggiungere un determinato livello. Tanto in ogni caso sono sicuri di giocare e di strappare un buon contratto, essendo un numero esiguo e ambiti da molti. Lo straniero (forte, perchè spesso si comprano forestieri tanto per fare, anche quello è vero) oltre alla concorrenza che stimolta, in tutti gli ambiti, la crescita e il miglioramento, porta con sè anche nuove idee, nuove esperienze, nuovi modi di fare calcio; un arricchimento in più per i russi che non hanno ancora avuto la possibilità di giocare un certo tipo di partite.
Tutto questo porta a un congestionamento del mercato interno, perchè molti calciatori, di basso livello, diventano merce pregiata ed essendo ambiti da molti vedono lievitati i loro prezzi e i loro stipendi. Gli stranieri forti sono costretti a emigrare e le squadre russe, oltre a rubarsi i giocatori tra di loro, non hanno più quel potere d’acquisto importante sul mercato internazionale, e di conseguenza ne risente anche il torneo locale, che vede sempre meno facce nuove di un certo calibro, data la scarsa propensione dei club a scommettere su calciatori esteri. Il riflesso nei risultati raggiunti nelle coppe europee è palese: lì la competizione è impari, perchè gli altri club non sono stati formati per rispettare un emendamento in patria che preveda sempre un certo numero di autoctoni in campo.
Finchè le squadre russe saranno gravate dall’attuale limite sugli stranieri comparare i risultati europei di queste con quelli delle compagini continentali non sarà possibile, perchè è come se si giocasse a due sport diversi. Ogni turno passato dai club della Russian Premier League nelle competizioni sotto l’egida UEFA e, in caso di improbabile buon esito di queste, FIFA, vale doppio, perchè ottenuto con una zavorra in più che gli altri non hanno. Sarebbe opportuno che tutti coloro i quali avessero intenzione di parlare di calcio russo e dei suoi riflessi in Champions League ed Europa League facesser attenzione a questo importante punto onde evitare affrettate conclusioni del tutto fuorvianti.
Chi scrive quest’articolo è un’amante (alla follia) di questo paese e di questo movimento, una persona che fa della Russia l’unica ragione di vita e che con grande piacere si ritrova, quando ne ha la possibilità, direttamente sul posto. Il titolo è chiaramente provocatorio, ma la realtà dei fatti è questa. Qualcuno salvi la Russian Premier League, il torneo più affascinante del globo!