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Il calcio in tv: questione di toni

Le recenti polemiche relative alla diretta televisiva di Juventus-Lazio di Supercoppa Italiana, con immagini di qualità scadente, problemi di collegameno e la conseguente disputa sulle responsabilità palleggiate tra RAI, Lega e Infront, oltre a dimostrare, per l’ennesima volta, quanto il nostro calcio sia impreparato ad affrontare l’assalto ai nuovi mercati, ha, benché tangenzialmente, toccato un argomento sia interessante sia poco o nulla discusso: la qualità delle regie e dei commenti nelle telecronache.

Non serviva la figuraccia rimediata da Beretta (è la Lega Calcio ad aver scelto Shanghai come sede per l’assegnazione del primo titolo nazionale della stagione) per riportare alla mente un tema importante come quello del raccontare lo sport, aspetto cruciale della nostra società, giacché, se calcio, basket, ciclismo, moto (aggiungete voi quel che volete) recitano un ruolo di primo piano nel nostro mondo è in virtù della possibilità di dare vita a narrazioni, con tutte le conseguenze (non sempre positive) identitarie del caso.
In pratica: se gli sportivi guadagnano moltissimo è perché le loro gesta eccitano la fantasia di milioni di persone, pronte non solo a pagare per vedere i beniamini in azione, ma pure a comprare i prodotti da essi, più o meno velatamente, “consigliati”. Un meccanismo pachidermico, articolatissimo, dagli aspetti poco chiari e dalle conseguenze non sempre positive, come la disputa d’una finalina dall’altra parte del pianeta per non chiarite questioni di marketing o, andando indietro con la memoria, quella d’una finalissima mondiale (Argentina-Germania 3 a 2, 29 giugno 1986, il vero ingresso di Maradona nella leggenda) sotto il cocentissimo sole del meriggio estivo messicano.

Vero è, e non da ieri, che il modo di raccontare il calcio (prendiamo questo sport per comodità: ci chiamiamo MondoPallone…) è cambiato molto, non necessariamente in meglio. I mutamenti sono stati molteplici, legati sia alle maggiori potenzialità tecniche (il numero maggiore di telecamere consente molte possibilità di montaggio video in più) sia alla necessità d’adeguamento della voce rispetto a quanto si vede. Da uno stile narrativo piano, che lascia respiro alle immagini, dosando gli interventi vocali, siamo passati a un ritmo densissimo, con interpreti ormai riconoscibili e distinguibili per l’invadenza d’un inesauribile eloquio.

L’impressione è che, in un’epoca in cui tutto è da esaltare, in cui termini quali “mito”, “leggenda”, “fenomeno” con le relative aggettivazioni registrano un’inflazione insoffribile, in cui tutto è in vendita, la conseguenza è che i narratori si facciano attori, ritagliandosi la propria parte nel grande circo sportivo. Da qui nascono i «date un bacio a vostro figlio» degni davvero di miglior causa, o l’imposizione di tormentoni per rendere personaggio il tal giornalista, attribuendogli riconoscibilità e, quindi, potere.
Da mondopallonari frequentatori di stadi, ve lo testimoniamo direttamente: i cinque alto tra pedatori e colleghi (sedicenti) importanti sono siparietto diffuso, pure negli stadi più laterali. Senza contare, discorso ancora diverso e da non ignorare, l’ipocrisia di chi si trova a raccontare una partita particolarmente brutta senza poterlo dire apertamente, ché rischierebbe di “deprezzare” un prodotto, invece, da “pompare” per questioni di scuderia.

Non è per recitare il ruolo, prevedibile e trito, di moralisti inneggianti alla deprecatio temporum, esercizio sterile e consolatorio, che azzardiamo quanto scritto, bensì per proporre, e MondoPallone cerca di esserne un piccolo, operoso esempio, di mettere le cose in prospettiva, sempre. Provare, quindi, a raccontare lo sport con entusiasmo, competenza (e non lo specialismo estremo, altra metastasi dell’epoca contemporanea) pure cultura, nella consapevolezza della propria, peraltro irrinunciabile, posizione di narratori. Un invito che non ci illudiamo possa essere raccolto da molti, ma che speriamo possa alimentare una riflessione in chi legge queste pagine.

E una postilla personale: non è vero, nel caso vi fosse venuto in mente, che così fan tutti e che lo “stile italiano” sia uniformato a quello degli altri paesi. L’anno scorso, seguimmo il mondiale brasiliano grazie a un (legalissimo) impianto satellitare, sui canali statali tedeschi: commenti puntuali (mastichiamo appena l’idioma, per remote frequentazioni scolastiche), senza mai “coprire” le immagini e nessuna “esagitazione”, nonostante la vittoria finale.
Pur simpatizzando per la Grecia (non solo calcisticamente), non nascondiamo d’aver, per un attimo, rimpianto di non esser nati ad Amburgo.