Home » La nona vita di Cassano

Cassano è tornato. L’eterno adolescente irredento, l’inquieto divoratore del proprio talento, sarà di nuovo in campo e vestirà la maglia che forse più di ogni altra l’ha visto esprimersi ai migliori livelli di una carriera giunta ormai all’ennesima replica della propria commedia personale.

Il calciatore dalle movenze sinuose, capace di calamitare il pallone tra i propri piedi ma ancor di più di disperdere, nello spazio che intercorre tra la testa e i piedi, i bagliori di un talento purissimo, ha firmato il contratto che lo riporterà sulla sponda blucerchiata di Genova, alimentando ancora una volta la speranza di vedere finalmente compiute le promesse insite nella propria dotazione naturale.

A 33 anni compiuti, il “Pibe di Bari Vecchia”, si appresta a vivere la nona vita calcistica, probabilmente l’ultima, a meno che non dimostri di averne più del classico gatto.

La prima vita di Cassano fu quella indigena, nell’alveo natale di Bari. Qui debuttò, qui si mise in luce sotto la guida di Eugenio Fascetti, qui mostrò una delle perle più luminose e famose della propria carriera: quel gol all’Inter in dribbling sgusciante che gli restò come imperituro biglietto da visita. A Bari, per qualche giorno è sembrato che potesse pure tornare, pochi mesi fa, al termine dell’avventura parmigiana. Ma alla fine Fantantonio ha deciso che la platea domestica fosse ancora troppo ristretta per le proprie ambizioni residue.

La seconda vita fu quella romana. Arrivato nel dopo scudetto alla corte di Capello e Totti, Cassano in quegli anni poteva dimostrare una brillantezza atletica che ne valorizzava le doti di palleggio. Certo, probabilmente fu più argento vivo naturale che frutto di scrupoloso allenamento, ma chi lo ha visto giocare, ricorda un folletto che non si risparmiava nella corsa, in grado di offrire spunti pietrificanti per i propri marcatori. Ma, come è noto, le intemperanze caratteriali non ne facevano un mostro di simpatia o un simbolo del gruppo nello spogliatoio e il sodalizio con i giallorossi finì senza troppi rimpianti a posteriori.

La terza vita di Cassano fu quella di Madrid. Voluto da Capello, Cassano entrò in collisione con l’allenatore, i compagni di squadra, i tifosi, la stampa e la Spagna tutta. Abbandonato nelle adiacenze di un distributore di merendine, attraversò la fase più oscura della propria parabola, abbandonato a se stesso e a un eccesso di adipe. Fu probabilmente in quel momento che perse lo spunto in velocità, nonostante rimanesse comunque in grado di supplire grazie all’eccellenza tecnica.

La quarta vita di Cassano fu la più importante. Approdato alla Sampdoria, Cassano ritrovò gli stimoli, sembrò per un periodo assumere un maggior equilibrio di vita e divenne il faro del gioco dei blucerchiati, facendo la fortuna in particolare di Pazzini, al quale regalò l’occasione di mettere a segno numerosi centri e portare a casa i migliori orsacchiotti della propria carriera, troppo spesso caricata a salve. Per Cassano, 96 presenze e 35 gol tra il 2007 e il 2011. Poi, la lite con Garrone e l’allontanamento.

La quinta e la sesta vita di Cassano si svolsero sulle due sponde di Milano: dapprima al Milan, dove vinse il suo unico scudetto, sebbene più come compartecipante che come attore protagonista, poi con l’Inter, la squadra per cui tifava da bambino. Neanche in nerazzurro lasciò un segno da ritenersi indelebile, ma comunque riuscì a esprimere un buon numero di assist.

Una sola stagione e via verso la settima vita, quella di Parma, dove seppur giocando con un passo sempre più lento, fornì la solita cospicua dote ricamata in forma di assist, finché le avvisaglie del fallimento societario non lo spinsero a rescindere il contratto. Una sgradevole coda di polemiche con il tecnico Donadoni, chiarì come il temperamento del barese in fondo non fosse cambiato poi tanto, dai tempi in cui, a Roma, inzuppava le dita nel cappuccino di Batistuta.

L’ottava vita di Cassano, si è svolta in parallelo alle precedenti ed è legata alla militanza in azzurro. Tre europei, con un argento nella gestione Prandelli, una fugace apparizione agli ultimi Mondiali, inodore e incolore. La difficoltà a coniugare le proprie esigenze caratteriali con lo spirito di un gruppo, specialmente in azzurro ha condizionato un bilancio davvero scarno per un giocatore tanto dotato: 39 presenze e 10 gol potrebbero essere sufficienti per qualcun altro, ma non per chi sarebbe potuto essere una stella internazionale, rimasta per la verità troppo distante da terra, per mostrare il proprio splendore. Ai vittoriosi mondiali del 2006, l’allora 24enne Cassano non c’era.

La nona vita comincia da oggi. Alla corte del traballante Zenga, allenatore che si dice non lo volesse e che ora potrebbe essere il primo boccone fagocitato da Cassano.

Questa per Cassano potrebbe essere l’ultima reincarnazione calcistica. Ora bisogna vedere se deciderà di restarsene acciambellato da una parte, campando dei soliti spunti estemporanei o se l’aria balsamica ne corroborerà lo spirito. Ancora una volta, noi lo aspettiamo.