La Libertadores resta in Argentina, più precisamente resta proprio a Buenos Aires, stanotte infatti con la vittoria sui messicani del Tigres, il River Plate ha vinto il titolo continentale succedendo così al San Lorenzo.
Dopo 19 anni i Millonarios tornano sul tetto del calcio sudamericano, guidati da Marcelo Gallardo, proprio colui che nel lontano 1996, insieme a giocatori del calibro di Crespo, Ortega, Aimar e Almeyda conquistò con il River il titolo per l’ultima volta prima d’oggi.
Passato dal campo alla panchina il tecnico ha portato a compimento questa fiaba romantica, i cui eroi hanno oggi i nomi di: Cavenaghi, Kranevitter, Funes Mori e Alario. Una favola dicevamo, che inizia tuttavia con una tragedia il 26 giugno 2011 quando il River, per la prima volta nella sua storia, retrocede nella Primera B Nacional. Un dramma sportivo vero e proprio, che nonostante mille difficoltà ha piegato, ma non spezzato questo storico club capace di rimettersi in piedi molto velocemente.
La rinascita dei millonarios inizia nella serie minore con Matias Almeyda che lascia il campo e si siede in panchina, per cancellare quell’umiliante e imprevista retrocessione. Riconquistata subito la massima serie tocca poi a Ramon Diaz, altro idolo locale, riportare il club nella parte alta della classifica con la conquista del titolo. Fino a Marcelo Gallardo che conduce gli argentini in breve tempo a vincere oltre al campionato anche: una coppa Sudamericana, una Recopa e la Libertadores.
Davanti a un Monumental stracolmo, a 4 anni dalla peggior stagione di sempre, Gallardo ( in tribuna nell’occasione per squalifica) conquista la Libertadores sbranando il Tigres, scrivendo un capitolo indimenticabile della storia del calcio sudamericano.
Da sempre il calcio argentino esalta i settori giovanili e il River Plate ne è uno splendido esempio. Le difficoltà del sistema calcio e la crisi economica del paese argentino hanno portato la società a investire sui giovani talenti, impartendo in loro il senso di appartenenza e l’orgoglio di indossare quella gloriosa casacca.
Per questo molti campioni dopo aver trovato trofei e gloria in Europa spesso attraversano l’oceano per giocare le ultime stagioni nel loro club d’origine. Ne sono esempio recente: Cavenaghi, Ameyda, Ortega.
Una necessità investire oggi sulla cantera, perché a dispetto del nome Millonarios, il club negli ultimi anni era arrivato ad avere un debito complessivo di 180 milioni di pesos argentini, pari a circa 65 milioni di dollari. Complici le cattive gestioni di presidenti come José María Aguilar e Daniel Passarella.
Non fu facile retrocedere, svendendo campioni come Erik Lamela (Roma, 17 milioni di euro), Diego Buonanotte (Malaga, 4,5 milioni) e Roberto Pereyra (Udinese, 2 milioni) e rischiando di perdere degli sponsor, come Adidas a Petrobras.
Nonostante a inizio 2014 il River fosse il secondo club per debiti in Argentina, il ritorno in pochi anni al successo ha riportato il Brand ad essere nuovamente ricercato, trovando quindi in breve tempo sponsor e affiliazioni. Garantendosi così un po’ di tranquillità economica e forse la speranza di non dover vendere subito i propri campioni come Kranevitter e Funes Mori.
Oggi Società e tifosi si godono il momento, fieri dell’impresa e tuttora increduli si apprestano a sfidare il Barcellona del loro connazionale Leo Messi nel Mondiale per Club. Arrivare fin qui, in mezzo a tutte queste difficoltà ha reso tutti più forti e convinti dei propri mezzi. Sognare ancora non costa nulla.