Non è cosa da tutti. Possiamo dirlo senza mezzi termini: credere davvero nei giovani, qui in Italia, è roba di pochissimi. Lo ha piu o meno fatto la Juventus, in questi anni, sia dando fiducia a un Pogba (1993) che ha ripagato le attese, sia prelevando, in questo mercato, Rugani (1994) dall’Empoli; ha provato a farlo la Roma, comprando Iturbe (1993) a peso d’oro la scorsa stagione, senza riuscire però a valorizzarlo nel migliore dei modi; hanno intenzione di farlo le milanesi, forse: una confermando Kovacic (1994) e Icardi (1993) al centro del progetto nerazzurro, l’altra provando a strappare ai giallorossi quel Romagnoli (1995) che tanto piace a Mihajlovic, ma che la Roma – per un intelligente gioco di plusvalenze – non lascerà partire a meno di trenta milioni di euro.
Sono, però, casi piuttosto isolati questi, che in sé e per sé non fanno statistica. La realtà, infatti, è ben diversa; la realtà è una Roma che preferisce prendere Džeko lasciando che Mitrović, obiettivo di mercato giallorosso fino a qualche giorno fa, approdasse a Newcastle, puntando dunque più sul desiderio di rivalsa di un giocatore di 29 anni reduce da una stagione grigia al City, piuttosto che sulla voglia di esplodere di un ragazzo che in Belgio, sponda Anderlecht, ha segnato 20 gol in 40 presenze, vincendo il titolo di capocannoniere a soli 20 anni.
Nulla di cui stupirsi, è così che funziona qui da noi. L’esempio di Mitrović è solo una goccia nell’oceano, e io l’ho preso perché mi è particolarmente a cuore, dato che – non è più una novità – sono un amante del calcio belga. Ma così come per Mitrović, tante altre volte in Italia abbiamo visto direttori sportivi preferire un usato più o meno garantito a una scommessa in cui credere fermamente. E mi stupisco, poi, quando sento Lazio e Fiorentina contendersi Milinkovic-Savic, stellina del Genk classe 1995 vicina all’approdo in Serie A. Il serbo, a una delle due squadre è destinato. Ma la sensazione è che ovunque andrà, in Italia di panchina ne vedrà molta, perlomeno all’inizio, e sempre per i soliti motivi: “È giovane. Va fatto crescere con calma”. Stesso discorso, ovviamente, per quel Kishna (1995) che Lotito sta provando a portare a Formello. Soli venti anni, ma grandi cose fatte vedere all’Ajax. Di lui si dice un gran bene, ma nonostante ciò sembra difficile che, dovesse approdare in biancoceleste, riuscirà a battere la concorrenza e accaparrarsi una maglia da titolare con continuità. Perché questo è il problema: se sei giovane, non riesci ad accumulare minuti nelle gambe, qui da noi. Basta una partita sbagliata e partono le etichette: “immaturo, sopravvalutato”. E tanti giudizi volti a spingere il talento fuori dal rettangolo verde, perché “in Serie A c’è da mangiar pane, prima di riuscire a imporsi”.
Cavolate. Cavolate cosmiche. Il calcio è il gioco più bello e semplice del mondo: quello in cui se hai talento, la tattica già la conosci, i movimenti già li sai, perché ti è tutto scritto nel DNA. Diciamo sempre che dobbiamo guardare all’estero, ma non lo facciamo mai. Anzi, non lo facciamo mai nel modo giusto. Ammiriamo l’Inghilterra, stimiamo la Spagna, l’Olanda, la Francia, ma non impariamo mai che per crescere e colmare il divario (ancor più economico che qualitativo) dobbiamo aprire la mente e guardare avanti. Dando fiducia a un futuro fatto di giovani, da coltivare in casa in primis, e quando serve… Anche da comprare. Senza aver paura di sbagliare, perche il futuro è di chi ha coraggio.
E come conferma di ciò… Indovinate? Già, guardate sempre là, a quel Belgio che ho imparato io stesso ad apprezzare nel tempo, dove il calcio passa prima dai settori giovanili, poi dall’acquisto di giovani di spessore, e di conseguenza dalla valorizzazione di questi ultimi. De Sart (1994), Dendoncker (1995), Tielemans (1997), Praet (1994), Roef (1994), e tanti altri. Giovani in rampa di lancio, ai più sconosciuti, ma che giocano, crescono, e tempo un paio di anni e contribuiranno al progressivo successo di una nazionale che, attualmente, è terza nel ranking FIFA. Ma da quanto sento e leggo, non è assolutamente intenzionata ad accontentarsi.