Ce lo ridate un campionato?

Come il campionato francese di 10 anni fa. Più o meno, forse: allora il Lione dominò così tanto da laurearsi campione sette volte di fila, da noi la Juventus è arrivata (sinora) a quattro. Interessa a questo punto capire cose accadrà quest’anno, per capire quanto dobbiamo prendere sul serio il movimento e il lavoro delle “rivali”: abbiamo un campionato, oppure il cielo sarà sempre e solo bianconero?

Come il Lione, dicevo: in comune con la squadra francese i bianconeri avevano, sino alla scorsa primavera, anche la scarsa efficacia europea. Non che mancassero, in un caso o nell’altro, idee o giocatori importanti, semplicemente non era abbastanza: ok trionfare nell’orticello di casa, ma il calcio continentale era un’altra cosa.

Sino alla scorsa stagione, in verità: una Juventus pragmatica, finalmente navigata, esperta al punto giusto (mai sottovalutare l’esperienza dei campioni del Mondo e vice campioni d’Europa con la maglia azzurra), messa meglio in campo del Real Madrid dello stratega Ancelotti. Guadagnare un rigore su contropiede da calcio d’angolo altrui, quando ritmo e andamento dell’incontro sembravano invitare i madridisti a vivacchiare, o comunque allentare la presa ed esser saggi: Allegri meglio di chi “preferisce la coppa”, e Juventus finalmente all’atto finale.

A prescindere dall’esito di Berlino (che a sua volta la forbice tra il top italiano e quello spagnolo l’ha mostrata eccome), la sensazione è che la maturità continentale abbia chiuso un cerchio, e che soprattutto sia aumentato lo scarto tra la Juventus e le altre “grandi” italiane, lontane anni luce: nella classifica di un campionato di fatto vinto in gennaio/febbraio, nella performance europea di una stagione in cui la vera rivale ha preso 7 gol in casa nella serata più suggestiva dell’anno, e di un’altra che ha sì raggiunto la semifinale dell’Europa League, ma previo scivolone nel preliminare contro la quarta forza di una Liga oggettivamente troppo bistrattata dalle nostre parti.

Ma ho parlato di ciclo chiuso non a caso e nonostante l’allenatore abbia solo di recente festeggiato il compleanno bianconero: se ne sono andati calciatori leggendari e altri importanti, è giunto un rinnovamento doloroso ma necessario. Ma doloroso solo per chi ha paura di cambiare, o per chi difetta di senso pratico, a ben guardare: Pirlo già da qualche mese era in apnea, a Manchester sanno cosa possa significare tenere un Tévez demotivato e con la testa altrove, i nuovi sembrano le tessere giuste per rifare il mosaico. La stessa fisionomia della campagna acquisti bianconera fotografa momento e appeal della società rispetto alle Roma, Napoli, Inter e Milan di turno, ci dice tante cose: difficilmente un Sami Khedira in scadenza e col coltello dalla parte del manico per quanto riguarda l’ingaggio avrebbe guardato a città italiane diverse da Torino, ed era ovvio che Paulo Dybala vedesse nella Juventus la meta più ovvia per entrare nel calcio dei grandi. Per non parlare di Mario Mandžukić, o di chi arriverà al posto di Vidal: gente di spessore internazionale, calciatori che certe serate di Champions League le hanno non solo vissute ma cavalcate, giocatori che solo chi in questi anni ha cambiato modello (vedi stadio, marchio, crescita globale ecc.) e politica societarie potrebbe permettersi, economicamente e non.

Milano e la Serie A rappresentano ancora un upgrade (ma fino a che punto? Accetterebbe più di un anno senza coppe?) rispetto al Monaco per Geoffrey Kondogbia, però il passo da fare è tornare punto di arrivo e non di partenza per certi giocatori: la Juve lo sa e la Juve c’è riuscita, le altre sono ancora o troppo timide o troppo poco coraggiose.

Se 32 milioni sembrano pure un po’ troppi per Dybala, insomma, dalle parti di Torino sanno che un fallimento del giocatore peserebbe meno che altrove, nelle casse e nei risultati. Sta alle altre, tramite il lavoro di tutti i giorni e la programmazione, e magari quattro o cinque stagioni consecutive nell'”Europa che conta”, smettere di mangiare la polvere e colmare il divario: sinora Roma, Lazio, Napoli, Inter e Milan, se anche si sono rafforzate, sembrano più squadre da piazzamento che da titolo. Ma hanno ancora tre anni per ridarci un campionato prima di eguagliare il record storico della Ligue 1 francese degli anni Duemila.

Published by
Matteo Portoghese