Fino a prova contraria

Una tappa che sembra aver deciso l’epilogo del Tour de France con dieci giorni d’anticipo. Non sarà una sentenza definitiva, ma la lezione inflitta da Chris Froome a tutti i suoi diretti avversari è di quelle da cui non si riesce a rialzarsi in tempi brevi: non c’è stata gloria per Alberto Contador, vincitore dell’ultimo Giro d’Italia e desideroso di puntare alla doppiettta che non riesce dai tempi di Marco Pantani, né per Vincenzo Nibali, trionfatore nell’ultima Grande Boucle. Il messinese è palesemente fuori condizione, ha avuto problemi di respirazione e anche la pedalata è molto lontana dall’essere fluida: per il ciclismo italiano, dopo la brutta notizia legata alle condizioni di salute di Ivan Basso, si è trattata di una terribile due giorni. Indipendentemente dall’impresa sportiva compiuta dagli uomini del Team Sky, però, la sconfitta vera del ciclismo è agli occhi di tutti, basta leggere i vari commenti presenti sui social network: non c’è più fiducia in ciò che si vede, dopo le cocenti delusioni derivanti dal doping sportivo e dalle decine di competizioni annullate per questo motivo. Ed è l’atteggiamento più errato che si possa avere nei confronti di questo sport, perché si generalizzerebbe un comportamento che, nonostante tutto, anche in passato è stato circoscritto a qualche atleta o poco più.

Il ciclismo ha intrapreso un percorso netto e deciso verso la riqualificazione, al fine di ritrovare credibilità in tutti quegli spettatori delusi da decenni di prese in giro: credibilità che, però, sembra non riuscire a tornare ai tempi in cui seguire le grandi corse a tappe sembrava un dovere per ogni vero appassionato di sport. Perché questo non avviene, per esempio, anche nel calcio? Tra Calciopoli, calcioscommesse e l’ultimo filone di indagini riguardanti Catania, la fiducia verso il mondo del pallone dovrebbe essere ai minimi storici, eppure continua a essere di gran lunga lo sport più seguito in Italia. Idem per quanto riguarda la Formula 1 e la Spy story tra McLaren e Ferrari, passando per la Siena della pallacanestro e molte altre situazioni che avrebbero dovuto almeno scalfire le numerose certezze degli spettatori: quando si tratta di qualcosa riguardante il ciclismo, però, spesso si amplifica facendo di tutta l’erba un fascio, e in un mondo così variegato come quello sportivo è una presa di posizione che mi permetto di contestare. Io stesso ho iniziato a seguire molto meno questo sport dopo i tanti scandali, ma non mi sono mai permesso di considerare nulle alcune imprese sportive solo perché altri, qualche anno prima, hanno fatto un uso sistematico di doping: ragionamento che, ovviamente, è valido solo in mancanza di prove che attestino il contrario.

Chiaramente Froome, Porte, Sky, sono molto forti. Troppo forti per essere puliti? Non chiedetemelo, non ho elementi“. Parole di Lance Armstrong, uno che dopo aver affossato letteralmente la reputazione sua, del ciclismo e del Tour de France, probabilmente sta cercando di ricostruire la propria immagine difendendo, per quanto possibile, questa disciplina da attacchi interni ed esterni. Ridurre ai minimi termini l’impresa di Froome, come ho letto nelle ultime ore, letteralmente trascinato da una squadra che è stata capace di classificare più di un corridore sul podio (Richie Porte ha terminato la tappa al secondo posto) e gregari ben piazzati anche rispetto a capitani di altre squadre, non sarebbe giusto sia nei confronti di chi ieri ha vinto, sia verso chi ha fatto fatica e si è piegato a un avversario semplicemente più forte. Dubitare sempre e comunque, non godersi mai un’impresa sportiva – anche se a farla sono gli avversar: e non c’è nulla di male, non sempre si può vincere – è la vera tomba dello sport, ancora più di scandali, intercettazioni e altri tipi di corruzione.

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Alessandro Lelli