Proprio un anno fa di questi tempi mi capitava l’onore di commentare la finale di Wimbledon giocata tra Djokovic e Federer.
Una finale epica, finita 3-2 dopo una rimonta incredibile dello svizzero nel quarto set e persa dando tutto, buttando anche il cuore oltre l’ostacolo, in quel caso rappresentato da un rete e un nastro bianco.
Scrivendo quel pezzo, da grande appassionato di tennis e di Federer quale sono, avevo percepito quella come l’ultima finale di uno Slam che avrebbe visto Roger Federer come assoluto protagonista e invece, a distanza di un anno, il campione svizzero — dio l’abbia in gloria per sempre — mi ha sorpreso e smentito riuscendo a fare un torneo di Wimbledon praticamente perfetto, fino alla finale di ieri.
La qualità di gioco e il livello di concentrazione mostrati nei primi turni e nella semifinale contro Murray, semplicemente spazzato via dal centrale di Wimbledon, mi avevano addirittura portato a pensare che Federer potesse avere più possibilità in finale rispetto a quelle avute nel 2014, quando era stato palese a tutti chi fosse il più forte: Djokovic, per l’appunto.
Le percentuali di prime palle in campo e dei punti vinti sulla propria seconda di servizio erano state talmente alte da farci tornare indietro nel tempo, a quel Federer del periodo 2003-2007 in cui vinse cinque titoli di fila in terra inglese.
Quello di oggi, però, è un Federer diverso. Un Federer con meno forza fisica — e non che ne avesse mai avuta troppa — e con meno peso nei colpi messi a segno; un Federer che ha dovuto giocoforza cambiare il suo tennis per allungare la sua incredibile carriera, che comunque lo porta a essere probabilmente il migliore di sempre. Aiutato da un coach come Edberg, ha saputo ripartire da zero, puntando sulla sua classe e sul cercare di correre di meno accorciando gli scambi il più possibile. Ma quando ti trovi contro al numero 1 del mondo, forte come pochi e in forma come nessuno, allora non hai scampo.
Perché, sì, posso dirlo senza problemi: Novak Djokovic è il miglior tennista degli ultimi quattro anni, il miglior risultato del tennis moderno che ha saputo unire un grande atletismo — pur senza una massa muscolare invidiabile — a colpi di straordinaria fattura. Un misto, cercando di prendere con le pinze questa affermazione, tra Murray e Federer stesso, fermo restando che la qualità del tennis dello svizzero è e resterà inavvicinabile per molte generazioni.
Nella finale giocata ieri i primi due set ci hanno regalato dei momenti che tra qualche anno ringrazieremo di aver visto in diretta. Provando ad analizzare il match, si può dire che Federer abbia perso almeno due treni importanti: uno nel primo set, quando, dopo essere stato il primo a breakare l’avversario sul punteggio di 3-2, ha perso subito il servizio riportando in equilibrio la partita; il secondo nel terzo set, quando, dopo aver vinto un incredibile tie-break alla fine del secondo, non ha sfruttato il momento a vuoto di Djokovic che gli ha concesso una palla break nel secondo game e poi ha perso il servizio nel terzo, incanalando la partita sui binari del serbo, che da lì in poi non ha avuto pietà dello svizzero, che piano piano è sparito dal campo e dalla disputa.
Dall’altra parte, invece, Nole ha dimostrato tutta la sua forza — sia fisica che mentale — riuscendo a mettere in difficoltà Federer per tutta la partita trovando sempre una profondità di gioco mostruosa e costringendo lo svizzero a giocare spesso in controbalzo. Un capolavoro di concentrazione e costanza, un inno alla precisione.
Per Federer, per il quale l’eleganza è sempre stata sia la causa e sia l’effetto del suo tennis meraviglioso, in un circolo virtuoso che ci ha regalato i momenti di più alta bellezza di questo sport, arriva una punizione severa, ma giusta.
Avrebbe potuto fare di più? Probabilmente sì. Avrebbe potuto chiedere di più al suo fisico? Probabilmente no. Ha vinto il migliore ed è giusto rendergli omaggio come si fa con i più grandi di sempre. Game, set and match.