Nel corso degli anni abbiamo assistito alla trasformazione del calcio come elemento per veicolare messaggi di varia natura, dalla politica al sociale. Un universo variegato e complesso che si è immedesimato al meglio nel “villaggio globale” del nostro millennio, regalandoci storie e frammenti di vita. Calciatori divenuti ambasciatori di pace, capipopolo di fazioni o semplicemente simboli di riscatto sociale. Squadre usate come mezzi per propagandare messaggi bellici, clamorose gare “condite” da significati socio-politici, rinunce storiche e trionfi dal profumo di libertà.
– Come è nata l’idea di creare una scuola calcio a Bamako, nonostante le evidenti difficoltà logistiche, sociali ed economiche.
Il “Centro Sadio Diarra” ha visto la luce quando io avevo appena 11 anni ed ero un semplice allievo della scuola calcio del Club Djoliba de Bamako. All’epoca smisi di giocare perché mio padre non aveva i soldi necessari (1500 franchi ndr) per pagare la retta; questa dolorosa scelta incise profondamente sul mio carattere, forgiandomi. Da quel momento nella mia mente nacque l’idea di offrire a tutti i ragazzi bisognosi la possibilità di divertirsi in modo gratuito, e di aspirare a giocare a calcio senza nessun vincolo. Un sogno divenuto realtà tra mille sacrifici e tante soddisfazioni.
– Capitolo guerra civile. Come riuscite ad emarginare il clima tetro e cupo del conflitto dalla gioiosa rincorsa ad un pallone?
Il nostro compito è arduo, ma non possiamo fare altrimenti. Per i ragazzi della nostra scuola giocare a calcio è spensieratezza, allegria, voglia di vivere. Rischiamo in modo concreto ogni giorno di essere oggetto di aggressioni o di venir raggiunti da un proiettile, perché esposti in ogni singolo allenamento. La magia del calcio, però, ci consente di dimenticare tutto: quando siamo sul campo il nostro animo vive leggero e puro, scordandosi del contorno e della tragedia del conflitto.
– Il calcio come punto di riferimento per le giovani leve. Come organizzate i vostri allenamenti? E dove reperite fondi per le strutture e il materiale tecnico?
Dal punto di vista finanziario è molto difficile andare avanti, anche se la nostra tenacia e passione ci permette di gettare il cuore oltre qualsiasi ostacolo.
– La penuria di denari e la scarsità di materiale tecnico non può spingervi a cercare un sorta di affiliazione con qualche scuola calcio di rilievo internazionale?
– La funzione sociale del “Centre Sadio Diarra” ha un valore enorme nel delicato contesto maliano. Quali emozioni provate sapendo di togliere ragazzini dalla strada e dalle mille tentazioni della guerra e della delinquenza comune.
Il preservare ogni vita umana è il principale motore dell’azione del Centro. Aiutiamo i più sfortunati: ragazzi orfani privi di cibo e di una casa, sbandati e indigenti, offrendo un pallone e la libertà di rincorrerlo giorno dopo giorno. A volte basta poco per essere felici. E soprattutto vivi.
– Vivere e sorridere dei guai. Ma in fondo, nell’animo di ogni adolescente che gioca a calcio, permane il sogno di esibirsi nei palcoscenici più suggestivi del pianeta. Nella vostra scuola calcio formate uomini ed aspiranti calciatori, proprio come in europa e america. Metodi diversi, sogni identici?
– In Africa viviamo in un mondo a parte, e diventare calciatori professionisti è molto complicato per ovvie ragioni di carattere sociale ed economico. Noi educhiamo i giovani al rispetto delle regole, alla lealtà sportiva e al coraggio. Diciamo loro di scegliere sempre e comunque e di vivere a testa alta. Nel”Centre Sadio Diarra” non garantiamo a nessuno il professionismo, ma solo la possibilità di diventare una persona migliore. Perché – in fondo – intendiamo il calcio come la migliore palestra per la vita: non vogliamo lasciare nessuno indietro e allo stesso tempo cerchiamo di far emergere i migliori.