Il canestro di Chris Paul, in gara 7 nel primo turno di playoff, avrebbe potuto seriamente minare presente e futuro dei San Antonio Spurs. Con un Duncan monumentale – ma pur sempre 39enne – e un Ginobili apparso lontano, anzi lontanissimo dai tempi migliori, era facile immaginare il peggio per ogni appassionato di pallacanestro; indipendentemente dal tifo, infatti, gli Spurs in questi quindici anni hanno incarnato l’emblema della diversità e della meritocrazia. Prendevano europei al draft, valorizzandoli per davvero, quando ancora era una pratica sconosciuta nella maggior parte delle franchigie; non hanno smantellato la squadra, rimpiazzando i veterani con scelte in lottery come fatto dai Boston Celtics per esempio, ma anzi hanno costruito attorno a loro il proprio futuro. E soprattutto, in questi anni, hanno dimostrato di essere vincenti anche quando non erano loro a sollevare il Larry O’Brien Trophy a giugno. Tutto questo con l’allenatore più enigmatico e carismatico di tutta l’NBA e un General Manager in grado di mescolare un grande talento nello scegliere i migliori giovani al draft (recentemente Leonard su tutti) e, soprattutto, in grado di firmare anche stelle di primo livello (LaMarcus Aldridge) nel pieno della carriera agonistica.
Il risultato? L’essere riusciti, almeno sulla carta, a costruire una squadra potenzialmente più forte rispetto a quella che ha raggiunto due finali negli ultimi tre anni – condite da un titolo – nonostante i principali artefici di quei successi (Parker, Ginobili e Duncan) abbiano spento un’altra candelina. Via Splitter, Baynes, Joseph e Belinelli, volato a Sacramento per monetizzare quanto compiuto in questi due anni in neroargento, dentro Aldridge e West, riconfermando a cifre vantaggiose praticamente tutti i free-agent importanti della squadra. Ne consegue che Duncan, vista l’età, potrà tornare a fare il centro sfruttando maggiormente la forza fisica e l’esperienza, con Aldridge e Leonard rispettivamente ala grande e piccola; il backcourt non cambierà, Parker e Green verranno rimpiazzati, a partita in corso, da Mills e Ginobili. L’unico modo per avere speranze di titolo sin dal 2016 era limitare i minuti del duo Ginobili-Duncan in stagione regolare, obiettivo centrato, magari andando a prendere un giocatore in grado di sostituire il nativo delle Isole Vergini quando appenderà le scarpe al chiodo. Panchina lunga e giocatori futuribili, la ricetta vincente per ogni squadra che punti a più di una semplice apparizione, di tanto in tanto, nelle Finals.
Nell’NBA dei grandi mercati, dove spesso a fare la differenza è il marketing o la possibilità di strappare contratti con sponsor delle grandi città, i San Antonio Spurs rappresentano un’eccezione. E quando verranno ridiscussi i termini relativi ai diritti TV, ossia tra la fine di questa stagione e la prossima, i contratti attualmente in vigore (in particolare per quanto riguarda Leonard e Aldridge) sembreranno ancora più un affare di quanto non lo siano già adesso. Tutto questo, ovviamente, in attesa della conferma del campo: l’unico ad avere il diritto di smentire quella che, almeno sulla carta e salvo infortuni gravi, appare la franchigia più attrezzata per sfidare Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers nella prossima corsa al titolo.