Luci al Tardini
È un vezzo strano, quello di dare alle nuove società nomi “vecchi”. Voglio dire: nell’arco di pochissimo tempo, nell’estate 2015 sono nati il Parma 1913 e il Monza 1912. Intendiamoci: è una prassi consolidata, si è sempre fatto e sempre si farà. Ma c’è qualcosa di singolare, nel volersi rifare per forza a una storia passata.
La storia recente di entrambe le realtà è sotto gli occhi di tutti: il Parma è stato la “sorpresa” della Serie A, con avvisaglie che partono almeno dalla negata licenza UEFA di tredici mesi fa (se non dal mercato “folle”, fatto di ben oltre duecento tesserati). Con Ghirardi riuscito a passare, in pochi mesi, dall’uomo che aveva salvato e rilanciato il Parma del dopo-Tanzi, a colui che ha affossato definitivamente quell’esperienza.
Storia differente per il Monza: ottimamente riassunta da Monza-News.it, ci limitiamo a dire che si tratta di riuscire a coprire i debiti della società (fallita ugualmente) grazie alle scommesse e alla criminalità. In comune, tra le due società, un destino beffardo: siamo al secondo fallimento in circa dieci anni.
Oggi la storia parla male: entrambe le compagini dovranno ripartire dalla Serie D, dopo essersi recentemente distinte per passaggi di proprietà rapidi e fantasiosi, possibilmente con denari provenienti dall’estero (Taçi e Manenti per Parma, Antony Emery Armstrong prima e Dennis Bingham poi per Monza). Ce ne sarebbe abbastanza per dedicarci un editoriale intero, tra reimpiego di capitali illeciti e fondi all’estero (da anni si osservano società, oggi nell’occhio del ciclone, che comprano carneadi sudamericani a cifre non indifferenti: dice niente?). Ma non questo: parliamo ancora di storia, non solo di finanza.
E quindi, la ripartenza del Parma: con una nuova società composta in parte da imprenditori (uniti nella Nuovo Inizio, holding di maggioranza), e in altra parte da un azionariato popolare (Parma partecipazioni calcistiche, già 200 adesioni). A pensare male, ci si potrebbe chiedere: perché imprenditori come Guido Barilla o Giampaolo Dallara non hanno provato a salvare la società? Beh, a volte bisogna fare i conti con l’impossibile: trovare 4-5 milioni per la gestione di una Serie D di alto livello è ben più semplice che ripianare buchi per decine e decine di milioni, e poi dovere costruire (da zero) una squadra per la Serie B.
E poi perché, dopo essere stati dei Tanzi e dei Ghirardi, si voleva chiudere un’esperienza (tanto gloriosa quanto fragorosa nella chiusura) e ricominciare con facce note e calcisticamente pulite. Proprio per questo penso che sia più che giusto che presidente debba essere proprio Nevio Scala: uno che a Parma ha lasciato solo buoni ricordi, e questo quando ancora la squadra crociata non era passibile di alcuno scandalo. È stato proprio Scala a farlo intendere in modo più che chiaro, nella trasmissione A tutto campo su Radio RAI, due settimane fa: si sarebbe scesi in campo solo dopo il fallimento.
Quindi si riparte dalle facce migliori mai viste al Tardini: Scala in tolda di comando, Apolloni in panchina: da giocatore, ha guidato ai primi 4 trofei dei crociati. Bei nomi, belle parole, sapendo che devono porre la pietra angolare per un nuovo Parma che torni dove compete; e sapendo anche che questa loro scommessa comporta il rischio di sporcarsi le mani, e la memoria.
Ed è anche proprio per questo che mi auguro Scala possa abbandonare la nave prima possibile: il tempo di riportare la squadra tra i professionisti (un anno? due?) per cominciare a dire «adesso è una creatura tutta vostra: non avete più bisogno delle mie garanzie». Per far sì che nasca una nuova storia: con una sua indipendente dignità – parola non casuale.