MP Istantanee presenta… Giuseppe Longoni e il tricolore

Quando il triangolino tricolore sembra non voglia essere conquistato: è la curiosa vicenda che coinvolse Giuseppe “Pino” Longoni, buon terzino degli anni Sessanta e Settanta. Protagonista suo malgrado di uno scambio di mercato a dir poco sfortunato con il collega Eraldo Mancin, Longoni ha dimostrato come la Dea Bendata possa diventare davvero beffarda

All’ombra di Giacinto

Giuseppe Longoni nasce a Seregno (Milano) il 12 aprile 1942. Cresce calcisticamente nel settore giovanile dell’Inter, dove incrocia un autentico fenomeno nel suo stesso ruolo: Giacinto Facchetti. La futura leggenda del calcio italiano viene imposto in Serie A proprio come terzino sinistro, dopo aver iniziato in attacco. Le chance di Longoni di arrivare sul grande palcoscenico sembrano sbriciolarsi, dato che non riesce neppure ad esordire con la prima squadra nerazzurra. E’ costretto così a lasciare Milano, destinazione Como. Con il sodalizio lariano debutta in Serie B nel campionato 1962-63, titolare con 29 presenze. Le sue prestazioni sono convincenti, tanto da spingere il Modena a portarlo finalmente in massima serie la stagione dopo. In seguito ad una seconda annata in cadetteria, si trasferisce a Cagliari. I sardi stanno per affrontare appena il secondo torneo di Serie A della loro storia.

Affermazione

Longoni inizia una proficua parentesi in rossoblu, disputando quattro stagioni consecutive sempre con la casacca numero tre sulle spalle. Sono gli anni in cui il Cagliari si prepara a completare la sua bellissima metamorfosi, da debuttante a squadra di vertice. Nel primo campionato sull’isola, Longoni va addirittura a segno in quattro occasioni. Resteranno le sue uniche reti in Sardegna. Nel 1967 prende parte con il club ad una tournée negli Stati Uniti, in un campionato ufficialmente riconosciuto dalla FIFA, in cui il Cagliari viene invitato ad indossare i colori dei Chicago Mustangs. Longoni diventa uno dei più apprezzati terzini mancini italiani.

La beffa tricolore

Si arriva all’estate 1969. Longoni viene inserito in uno scambio di mercato, che si rivelerà beffardo: viene ceduto alla Fiorentina, mentre il collega Eraldo Mancin compie il percorso inverso. I viola si sono appena laureati Campioni d’Italia per la seconda volta. In quella stagione 1969-70 è invece il Cagliari ad agguantare il titolo, spinto al massimo traguardo dalle reti di uno strepitoso Gigi Riva. Per Giuseppe Longoni si materializza così una situazione paradossale: arriva alla Fiorentina quando i toscani hanno appena vinto lo scudetto ed assiste a quello vinto dal Cagliari, che aveva appena lasciato. Al contrario del fortunatissimo Mancin, che si fregia in questo modo di due vittorie in altrettanti tornei e con diversi club. Insomma… il triangolino tricolore non vuole proprio essere conquistato da Longoni. Un’atroce beffa sportiva, che ingiustamente abbina il giocatore di Seregno ad un unico aneddoto, nonostante la buona carriera.

Eraldo Mancin

 

 

 

 

 

 

 

 

Vicenza e parentesi in panchina

Nel 1973 lascia Firenze per passare al Lanerossi Vicenza, club in cui disputa le ultime tre stagioni agonistiche prima del ritiro. In totale le sue cifre parlano di oltre quattrocento gare da professionista tra campionato e coppe. In seguito, sporadicamente, vestirà i panni di allenatore sempre e solo in Lombardia con Seregno, Aurora Desio e Pavia.

Malattia, scomparsa e sospetti

La malasorte, purtroppo, sembra non essersi dimenticata di lui: dal 1995 in poi subisce tre ictus, che insieme ad una vasculopatia cronica lo riducono su una sedia a rotelle privandolo della parola. Scompare a soli 62 anni nella sua casa di Seregno, il 22 marzo 2006. Il suo nome viene incluso nel triste listone di ex giocatori precocemente scomparsi, in seguito a malattia. Sulla scomparsa di Longoni ha indagato il pm Guariniello nell’ambito della sterminata catena di decessi legati a sospetti di doping. Il giocatore di Seregno, infatti, venne a contatto in carriera con tre “gruppi a rischio”: quello degli ex calciatori del Como (a causa della presunta tossicità dello Stadio Sinigaglia), quello della Grande Inter di Herrera (che però toccò in maniera lievissima) e della sfortunata generazione della Fiorentina anni ’70 (intrisa di morti premature e malattie sospette).