Che fine farà M’Poku?

Non sono qui per annunciare una verità, e dunque non sperate che vi sveli, in questo editoriale, dove finirà Paul-Josè M’Poku la prossima stagione: questi discorsi li lascio agli esperti di mercato, le cui notizie oramai sono reperibili veramente ovunque, in giro per il web. Sono qui perché mi chiedo, invece, che fine farà M’Poku più in là, fra qualche anno, se il caos attorno alla sua proprietà si placherà (leggere più avanti) e suo cartellino rimarrà di proprietà di quel fondo di investimenti che più lo manderà in prestito in giro per il mondo, più guadagnerà da lui e da coloro che vivono una situazione simile.

Dunque, sono qui a fare il punto della situazione su un calcio sempre più paradossale, in cui l’incapacità di trovare risorse interne spinge i club a guardarsi all’estero, a tal punto che poi rischiano di finire sottomessi da uno strapotere economico e imprenditoriale che, qui in Europa, non ha concorrenti. E’ noto oramai che il calcio del Vecchio Continente sia alla mercé di magnati russi/americani/arabi che arrivano, investono, e si divertono costruendosi un subbuteo fatto di calciatori in carne e ossa. Oramai, a questo, possiamo dirlo: siamo abituati.

E’ meno nota, invece, l’ascesa al potere calcistico di quei fondi di investimento che fanno le veci di vere e proprie società di calcio. Fondi che comprano giocatori e li trattano né più né meno come valute in un mercato finanziario. Non andiamo lontano, guardiamo in casa nostra: abbiamo accennato a M’Poku più sopra, e poi nel titolo, e anche nella foto di questo articolo, che è un omaggio al ragazzone congolese. Polo, così chiamato da amici e fan, ha giocato a Cagliari negli ultimi sei mesi. Parcheggiato in Sardegna dopo essere stato prelevato dallo Standard Liegi da un fondo di investimento Qatariota, tramite l’Al Arabi, club calcistico del Qatar (ovviamente legato al fondo) che ha svolto il ruolo di squadra di facciata, è finito sul mercato. Da lì, il Cagliari: a gennaio gli isolani mostrano interesse, M’Poku arriva in prestito in Sardegna, in Serie A si mette in mostra, il suo valore cresce, e come il Dollaro a Wall Street dopo una rapida impennata, ecco che, finita la stagione, il ragazzone viene richiamato in Qatar per essere re-investito, a prezzo maggiore, da qualche altra parte nel mondo, sempre in prestito perché è giovane (è un 1992), e solo quando sarà all’apice della carriera, ovvero quando prestarlo diventerebbe rischioso perché non sarebbero più così certi i margini di crescita, verrà venduto, ovviamente a un prezzo sempre superiore rispetto a quanto è stato acquistato, originariamente, dalla squadra originaria.

Ovviamente, saprete benissimo che quello di M’Poku non è un caso isolato. In Italia abbiamo già vissuto la situazione di Lestienne (comprato dallo stesso fondo di Polo), in Belgio ci sono tanti casi anomali (mi viene in mente quello di Imoh Ezekiel, attaccante classe 1993 reduce da un buon campionato allo Standard ma che fatica, attualmente, a trovare squadra a causa di richieste esose da parte del fondo proprietario), e così tante altre situazioni, che con il passare del tempo aumentano sempre più di numero, e che seppur giostrando ai limiti del consentito (la FIFA ha più volte palesato la propria contrarietà alla gestione dei calciatori da parte di questi fondi di investimento) riescono a divincolarsi piuttosto bene, e a far fruttare le loro strategie.

Poi, ecco che accade l’inghippo: M’Poku, proprio lui. Nelle ultime ore accostato al Genoa, che doveva chiudere l’affare ieri, ma che sta riscontrando più di una difficoltà a trattare con questo oramai famoso fondo arabo. Leggo in giro di semplici clausole mancanti, di strette di mano e fumate bianche in arrivo, e chissà se è vero: chi lo scrive avrà sicuramente i suoi informatori. Fatto sta che in Belgio la sicurezza è un’altra: come annunciato da Hln.be, portale belga, e ripreso da tanti altri media locali (Sport.be, Dh.be), M’Poku tornerà allo Standard Liegi. Il perché: l’Al Arabi non avrebbe mai versato al club belga i 4,9 milioni di euro concordati per il trasferimento di Polo, e la FIFA – che a gennaio aveva comunque approvato il passaggio in prestito al Cagliari consentendo nel frattempo che i club sistemassero le rispettive situazioni – avrebbe, dunque, annullato l’operazione (ricordiamolo: il massimo organo calcistico internazionale non ha nelle sue grazie l’operato di tali fondi, e non ci sorprenderebbe se, per una volta, provasse a mettere a uno di essi i bastoni fra le ruote). Comunque, secondo Walfoot.be, altro portale belga, l’Al Arabi avrebbe replicato con un emblematico “bullshit”, “cazzate”, millantando una storiella inventata da un manager e raccontata a un giornalista. Ma Bruno Venanzi, neoproprietario dello Standard Liegi, secondo L’Avenir.be, avrebbe confermato il tutto, spiegando che “seppur Polo sente di poter giocare in campionati più blasonati di quello belga, per noi non c’è alcun problema a farlo rimanere a Liegi per un’altra stagione”.

Le conclusioni, traetele voi. Personalmente, non so se il Genoa sia davvero su M’Poku o no, magari chiuderanno l’affare in queste ore, magari no, chissà. So solo che in Italia si dava la cosa per fatta l’altro ieri sera, per quasi fatta ieri, e “in trattativa” in queste ore notturne in cui mi sto dilettando a scrivere di fondi di investimento, soldi, presunto calciomercato e pallone. In Belgio, invece, la parola “Genoa” è stata scritta solo ed esclusivamente per riprendere la notizia battuta in Italia, riguardo all’interesse del Grifone per M’Poku. E relativamente ai fondi di investimento, tutta questa vicenda insegna molto. Pensateci: al primo di luglio, un ragazzo giovane, che di mestiere fa il calciatore (e lo fa anche piuttosto bene), non sa quali colori indosserà la prossima stagione (cosa, comunque, divenuta piuttosto normale da quando il calciomercato è una moda), e soprattutto non sa a quale azienda (non società calcistica, sia chiaro: azienda) appartiene. Si dice che il suo cartellino sia del fondo qatariota, si dice che presto tornerà allo Standard, si dice che è a un passo dal Genoa. Si dice tutto e niente, si parla tanto, troppo, ma nessuno ragiona. Perché se qualcuno si fermasse solo un attimo a riflettere, si renderebbe conto che situazioni del genere sono l’anti calcio per eccellenza. Sono un’assurdità resa consuetudine. Quale morale per un ragazzo di 23 anni? “Non importa quali colori difendi, conta solo che il tuo valore cresca”. L’apoteosi dell’educazione sportiva.

E allora sì, magari liquidi freschi dall’estero saranno boccate d’ossigeno per l’economia calcistica europea, ma tempo qualche anno e assisteremo al dramma: il calcio-industria (sempre esistito, certo, ma fino a qualche anno fa “gestito”, “controllato”) ingurgiterà il calcio-passione (oramai costretto al “c’era una volta”). In campo, non più per quella passione che muoveva le gambe da bambini, ma per arricchirsi e arricchire l’investitore capo (che vuole certezze di guadagno, non più rischi). Ci lamentiamo che stanno scomparendo le bandiere, nel calcio; ringraziamo il cielo che, per adesso, esistono ancora i tifosi.

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Alex Milone